giovedì 31 marzo 2016
Quando arrivò la bicicletta
Ho tra le mani una vecchia foto in cui nonno, con un sorriso soddisfatto, conduce la sua amata
bici, la nonna, con gli abiti “della festa”, è seduta sulla canna sfoderando un sorriso trionfante,
mia madre sta loro accanto, una mano sul manubrio e gli occhi ridenti. Mi rendo conto di come
quel velocipede fosse un membro della famiglia, amato, coccolato, quasi venerato.
Era il 1948, esattamente otto maggio, in casa Foti era giunta una novità importantissima:
nonno aveva comprato la BICICLETTA!
Che dire, fin dalla mattina tutta la famiglia era in subbuglio, una bicicletta era il sogno di tanti
ma…la realizzazione di pochi, in un’epoca in cui era proprio difficile potersi permettere anche il più
innocente dei lussi.
Le macchine appartenevano ai ricchi proprietari terrieri, di solito anche nobili, si vedevano
circolare solo la domenica e i giorni festivi e, di solito, codazzi di bambini le seguivano urlando di
meraviglia. La bicicletta era appannaggio di qualche borghese benestante. La fame era davvero
tanta, la guerra era finita da poco e l’economia, anche se in ripresa, non era davvero florida per
tutti.
In famiglia si era discusso a lungo sull’acquisto, la domanda era sempre la stessa “Ce la possiamo
permettere?”
Ma nonno, che lavorava a circa dieci kilometri da casa, ne aveva assolutamente bisogno. Il
poveretto, segantino di mestiere, macinava questo percorso a piedi, un mezzo così agognato,
come una bicicletta, lo avrebbe reso indipendente e…molto fortunato (a detta di chi la possedeva).
Quindi, dopo notti su notti, in cui i nonni facevano i conti e decidevano sulle spese da tagliare,
erano finalmente giunti alla conclusione che “l’enorme” somma era possibile raggranellarla.
Dopo mesi di sacrifici, adesso, alle diciannove, tutti erano ansiosi di poterla finalmente avere,
toccare, usare.
Fin dalla mattina l’attesa era stata spasmodica, nonna, sarta di mestiere, per quel giorno aveva
disdetto tutti gli impegni e aveva iniziato a lustrare la casa con una tale energia, neanche se avesse
atteso il Papa in persona per un’udienza privata. Alle amiche e alle clienti aveva raccontato, con
grande enfasi, dell’acquisto in corso, di come anche lei ne avrebbe usufruito, sedendosi sulla
canna e potendo così viaggiare liberamente. Mia mamma, che allora aveva solo diciotto anni, si
era affrettata ad andare dalle compagne a raccontare l’evento. Si sentiva davvero importante, il
padre le aveva assicurato che le avrebbe insegnato a pedalare, col tempo però…
Alle diciannove e trenta, quando già il sole iniziava a tramontare, ecco che in lontananza scorsero
una figura che, a piedi, conduceva il velocipede.
“Ma che fa, non la usa?” chiese nonna spaventata.
“Forse è già caduto!” rispose catastrofica la figlia.
Gli si fecero incontro.
“Nunzio che hai, perché la porti a spalla!” disse mia nonna allarmata, appena lo raggiunse.
“E’ troppo bella e non voglio sporcarla!”Rispose candido l’uomo.
E così, come in una processione pagana, condussero in casa la bicicletta...
Poveretto, l’uomo era naturalmente più stanco del solito ma, gli occhi gli brillavano di gioia, il
tanto agognato sogno era stato raggiunto!
Entrato in casa, la posò con accortezza a terra e, con occhi lucidi, la accarezzò. (credo che mai
nessuno abbia avuto tanta adorazione da un’intera famiglia).
Nonno prese uno straccetto e cominciò a spolverarla con dedizione, la nonna guardando le ruote
candidamente chiese “Ma non sono troppo strette per sorreggerti?”
Mia madre, più pratica intervenne “Ma tu ci sai andare? Lo sai che mi devi insegnare!”
“Tranquille donne. Adesso la metto in camera da letto, ceniamo e domani, poiché è domenica,
impariamo tutti a pedalare!” E così fu.
L’indomani la famiglia era pronta per le prove. Decisero di allontanarsi da casa, troppi occhi
curiosi. Così il primo ad uscire fu il nonno, sempre con la bicicletta in spalla, per non rovinarla, si
diresse verso la marina, dove una strada non troppo dissestata avrebbe permesso un approccio
più agevole alla pedalata.
Dopo qualche ora, per non destare sospetti nel vicinato, sarebbe stato raggiunto dalla moglie e
dalla figlia.
La verità era che mio nonno non sapeva né pedalare né stare in equilibrio per cui, nell’attesa dei
familiari, iniziò gli allenamenti.
Poveretto, così raccontò in seguito, cadde e ricadde, ma non si diede per vinto. Dopo ogni caduta,
controllava la bici, con un panno cercava di togliere gli inevitabili graffi e ricominciava.
Quando si accorse che moglie e figlia erano all’orizzonte, con un sorriso fiero, i vestiti impolverati,
con qualche strappo nei pantaloni, inforcò la bicicletta e pedalando andò loro incontro.
Peccato che una pietra malefica, gli fece perdere l’equilibrio e il freno a manetta per poco non gli
bucò lo sterno.
La nonna gli si avvicinò, lo aiutò a rialzarsi e baciandolo gli sussurrò “Non ti preoccupare
impareremo insieme!”
Così per un certo periodo, la bici fu usata solo la sera, quando nonno tornava dal lavoro e piano
piano, sorreggendosi a vicenda, a pedalare impararono tutti e tre.
Che tempi teneri quelli in cui la bicicletta, unico mezzo di locomozione accessibile a molti, univa la
famiglia!
Mio nonno continuò a pedalare fino all’età di ottantatré anni. Ancora negli orecchi mi risuona la
sua calda voce che saggiamente mi diceva “Ricordati, la bicicletta fa bene al cuore, alle gambe e
alla mente. Guardi il mondo senza far rumore e senza sporcarlo!”
Dedicato a un grande nonno.
sabato 19 marzo 2016
Evviva i papà
Evviva i papà
innamorati della famiglia,
alti o bassi
magri o cicciotti
intellettuali o pratici,
bruni o biondi,
pelati o tricotici,
si specchiano nello sguardo
di chi li ama.
Evviva i papà
che non si lamentano di notti insonni,
con le borse sotto gli occhi,
orgogliosi, parlano di figli.
Evviva i papà
che sanno dir di no
pur con il cuore trafitto,
sono spalla alle lacrime,
abbracci d'amore
a sconfitte o vittorie.
Evviva i papà
esempi positivi per i figli,
raccontano di speranze
mai di illusioni.
Evviva i papà che,
come vissuti attori,
nascondono
dietro a un sorriso
dolori e paure.
Evviva i papà
che amano,
condividendo,
le scelte dei figli.
Evviva i papà
che raccontano dei figli adulti,
e da ogni parola traspare
affetto
Evviva i papà che diventeranno nonni
con la stessa dedizione.
Nuccia
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