lunedì 5 settembre 2011

Pietro il...quasi adatto

Pietro…il quasi adatto



“Tutti a terra! Mani bene in vista! Non fate scherzi o assaggerete le mie pallottole! Tu in fondo, dove credi di andare, faccia a terra, allarga le gambe, non alzare il viso! Devi respirare la polvere!
Mi diverto enormemente a urlare, far paura a quei disgraziati che, per un malaugurato scherzo del destino, hanno incrociato i miei passi.
Sono super gasato, incavolato nero ma, finalmente, faccio vedere chi sono al mondo intero.
“ Chiudete le imposte, non lasciate filtrare alcuna luce verso l’esterno. Consegnatemi tutti i cellulari se non volete che vi faccia saltare il cervello!”
Mentre così urlo dentro di me sorrido, finalmente mi ascoltano e mi prendono sul serio.
Io, Pietro, l’uomo invisibile, chi aveva accettato sempre supinamente tutto, finalmente sono ascoltato.
Sicuramente sarebbe stata una lunga giornata e forse un’altrettanto lunga notte.
“Tutti voi, siete miei ostaggi, alzatevi lentamente, tutti… tranne te!” dico rivolto a una giovane impiegata della banca che ho assaltato. “Lentamente andate nella stanzetta attigua, sedetevi in modo che vi possa legare alle sedie! Tranquilli che non vi accadrà nulla, fate ciò che vi dico!”
Diligentemente come pecore, è proprio il caso di dirlo, ubbidiscono ai miei comandi.
Una volta seduti, con un grosso rotolo di nastro adesivo, li lego tutti. Alcuni, quelli che mi sembrano più facinorosi, vengono anche imbavagliati. Poi chiudo la porta a chiave e mi dedico all’impiegata.
Ha gli occhi sbarrati dalla paura, la bocca aperta in un silenzioso urlo, tutto il suo corpo trema ed io guardandola, penso “Dovevi temermi per vedermi?”
Il suo viso non esprime solo terrore ma anche una domanda”Perché?”
Come posso spiegarle che il mio agire nasce proprio dal suo comportamento. Lei sembra non conoscermi, anche se io, per spavalderia, non ho calato alcuno schermo sul mio viso.
Io la conosco benissimo. Quasi tutti i giorni passavo davanti alla banca, dove lei lavorava, sapevo anche il suo nome:Maria. Spesso facevo versamenti, utilizzavo il bancomat, anche per prelevare pochi spiccioli, solo per vederla. Lei niente.







Anzi, sicuramente si era accorta di me, un giorno per sbaglio le avevo sentito dire “C’è uno sfigato
che mi viene dietro, ha la faccia del perdente, figurati se gli do retta. Se lo vedo ancora fuori ad
aspettarmi chiamo il vigilante, così si toglie la voglia di stare a guardarmi.” Tutto questo con un tono di scherno che mi aveva ferito più di altre azioni.
Eppure nella mia breve vita quante umiliazioni!
Mentre osservo Maria, che si è quasi lasciata andare in una sorta di apatia , mi vengono in mente tanti episodi passati. Sono sempre stato un ragazzo molto semplice, cresciuto in una famiglia in cui l’unico vero valore era l’obbedienza cieca e assoluta.
Mio padre, colonnello dall’aereonautica, neppure in casa cambiava il ruolo, avendo sempre confuso la mansione di genitore con quella di addestratore. Io avevo un sacro terrore di lui, mi sentivo sempre inadeguato. A scuola anche un ottimo voto non era mai il massimo “Avresti potuto fare meglio!” Questo il suo pontificare. Mia madre poverina, santa donna, pace all’anima sua, non aveva il coraggio di ribattere ma, quando restavamo soli, io e lei, mi copriva di baci e carezze, cercando così di alleviare il mio senso di sconfitta.
Non so quanto mi fu utile una tale disparità di trattamento, so solo che un giorno mio padre, rientrando prima dal lavoro, mi trovò in braccio a mia mamma. Avevo solo nove anni ma, non dimenticherò mai come ci trattò. Mia madre fu rimproverata aspramente e accusata di farmi crescere come una donnetta, a me invece disse che non vedeva alcun futuro uomo in me, solo un pusillanime che avrebbe distrutto la propria vita, perché incapace di agire da solo, di reagire dinanzi alle complessità della vita.
Fu tremendo perché la mia autostima, che cercava di crescere anche attraverso le difficoltà, fu uccisa per sempre.
E adesso ho finalmente ai miei piedi Maria che mi supplica con gli occhi da lasciarla andare, di non farle del male, perché non lo merita proprio.
Un sorriso di scherno mi sale alle labbra, dov’è finita la ragazza intoccabile e sicura di sé?
Forse adesso mi avrebbe capito e avrebbe compreso cosa significa stare dalla parte del perdente.
La osservo attentamente, è bella nonostante la paura, mi guarda come se vedesse il diavolo, non è proprio quello che voglio.






Come faccio a dirle che sono innamorato di lei, che ho sempre cercato di palarle, ma lei non mi ha mai veramente ascoltato o visto. Ora è troppo tardi!
Una luce intermittente s’intravede tra le imposte delle finestre. È arrivata la polizia, ora inizia il bello.
Mi sono preparato alla perfezione, so benissimo che non ne uscirò vivo, desidero…voglio, che tutti sappiano la mia storia, perché sono il risultato della loro società.
“Sono l’ispettore capo De Franchi, prendi il telefono quando lo sentirai squillare, così ci farai sapere cosa vuoi per liberare gli ostaggi”.
Mi viene da ridere, mi sembra di essere finito in un telefilm americano, non hanno capito nulla, io non parlo, non chiedo, non voglio nulla. Quando ho parlato, ho chiesto, ho sperato, solo porte in faccia e sorrisini di superiorità: “Guarda… guarda che anche questo povero illuso vuole qualcosa” potevo sempre leggere fra le righe.
Oggi finalmente sono io che ho il coltello dalla parte del manico e vedranno di cosa sono capace.
Sento un mugolio che proviene dalla stanza degli ostaggi, apro la porta : uno dei più giovani mi fa segno che l’impiegato più anziano sta male. Lo guardo, non provo compassione, mi avvicino.
Il volto è cadaverico, assomiglia a mio padre e una rabbia intensa mi assale, poi mi blocco, mio padre è già sistemato, un provvidenziale ictus gli ha tolto qualsiasi velleità di comando. Lui, il superuomo ha bisogno degli altri, anche di me, per le più basilari funzioni vitali. Ironia della sorte! Se lo merita, anche lui è stato causa dell’inadeguatezza che mi ha sempre perseguitato.
Prendo una bottiglia d’acqua, posta vicino al tavolo, gliela verso sul volto. Il poveraccio apre gli occhi, mi guarda, sembra volermi dire qualcosa…non lo voglio sapere, la sua preghiera resterà inascoltata. Le mie lo sono sempre state.
Mi viene in mente quando vi fu la festa di fine anno a scuola. Ero follemente innamorato di Lilly, la più carina di tutte. Lei era l’unica a non prendermi in giro, a darmi dei consigli, a fare da scudo alle frecciatine delle sue amiche ma, quando le chiesi se voleva essere la mia ragazza, le sfuggì una risata, non era riuscita a soffocarla sul nascere.
Fu un momento tremendo da cui non mi sarei mai più ripreso.
Quando mi sembrava, di poter essere finalmente felice ecco che la realtà mi precipitava a terra.





Io ero inadeguato, ero l’incapace di turno, ero quello che non brillava negli studi, né nello sport, non ero nulla.
Ero solo una suppellettile che faceva sentire “buona” Lilly, quando mi aiutava, tutto qui.
Ero la sua buona azione quotidiana.
Richiudo la porta e lo squillo ripetuto del telefono mi riporta alla realtà.
Non ho intenzione di rispondere, d’altronde cosa dovrei dire: “Voglio un elicottero per fuggire, voglio dei soldi, un salvacondotto? No. voglio solo che si conosca la mia storia.
Io… Pietro, laureato in giurisprudenza, ventisette anni, non ho mai realizzato un sogno: lavorare utilizzando le competenze, ottenere riconoscimenti per quanto fatto, amare ed essere riamato, nulla . c’è sempre stato qualcuno che ha occupato il mio posto ma non per meriti, solo per conoscenze.
Odio questa società, questo paese, che non mi ha compreso e amato.
Che non ha mai visto di là dalle apparenze.
In uno dei colloqui cui mi sono presentato, mi è stato anche detto che la bella presenza era necessaria. Non sono un mostro certo, ma neanche un adone, solo un ragazzo normale che ha sempre faticato per essere e non solo apparire. Forse sono retrogrado altri sono i valori di oggi.
E in nome di questi valori: la legge del più forte, oggi ho agito.
Maria si è alzata da terra e mi guarda, si è avvicinata.”Mi ricordo di te, sei quel ragazzo gentile che spesso è venuto in banca. Sei sempre stato così educato. Cosa ti è successo? Ti ho aspettato, non sei più venuto!” mi dice ancora incredula.
La guardo, mi sembra sincera, forse anch’io sarei stato amato e avrei potuto amare, solo se avessi avuto il coraggio di osare. Le sfioro la guancia con una carezza. Lei non si ritrae, forse ha paura che mi arrabbi. Nei suoi occhi leggo ancora quella domanda” Perché?”
Mi accascio sulla sedia e mi chiedo come le posso far capire come si sente chi è sempre respinto. E’ come essere sempre in una strada in salita, quando pensi di aver raggiunto la meta ecco, che arriva una folata di vento freddo che ti riporta a valle. Tu speri che sia l’ultima volta e ricominci la salita, sei nuovamente respinto, una, due, cento volte. Poi le forze vengono meno, alla fine rinunci e fai una pazzia. Non puoi subire in eterno.





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“Maria , non so cosa mi sia accaduto ma, oggi, è stato il giorno della vendetta. Tranquilla non farò male a nessuno ma, ti prego, racconta agli altri di me.
Dì loro che non ero cattivo ma triste, solo, senza amore. La comprensione deve essere alla base delle relazioni umane. Come diceva Spinoza “ Non ridere..non piangere. ma capire”.
Sento uno schianto alla porta…uno sparo, avverto qualcosa di caldo al petto e poi le braccia di Maria che mi sorreggono.”E’ dolce morire così!.”









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