Rannicchiata
a terra, tra la polvere e gli scarafaggi, cerco di rendermi invisibile. So che
lui è vicino, è fuori, ne sento i passi pesanti e la sua voce roca che chiama.
“Piccolina, esci, non ti faccio nulla! Vieni
fuori, tanto sai che ti troverò e allora….vedrai sarà bello…” E continua con
questa litania che, pur sussurrata nel buio di quella vecchia stazione, mi
lacera i timpani, non celando la minaccia che lui rappresenta.
Metto
le mani sugli orecchi e tremante mi raggomitolo, ancor di più, se possibile, sotto
la panchina di legno.
“Piccolina,
non farmi arrabbiare…piccolina….” Continua a chiamarmi con quell’assurdo nome ,
tra le fessure della vecchia porta, il bagliore di una torcia, sonda le tenebre
della notte. Ho ancora il cellulare in tasca, ma non oso chiedere aiuto, se lo attivassi
temo che potrebbe vedere la luce del display. Ho tolto la suoneria, anche il mio
respiro si è come annullato, solo il cuore mi tamburella in petto…ma quello non
lo può sentire, spero. Sono riuscita a entrare nella sala d’aspetto
scavalcando una finestrella posta in alto, sbarrata apparentemente da una
tavola. La conosco bene questa stanza, da piccola mia nonno mi portava spessissimo
a vedere i treni passare, erano la mia passione.
Quante volte lo avevo visto lavorare come capostazione.
Per me era un mito, riusciva a fermare o far partire un treno con un semplice
fischio, ai miei occhi di bimba era un super eroe, adesso grazie a lui forse
mi sarei potuta salvare.
“Non
sarai nella sala d’attesa? Vero piccolina?” Così dicendo dà scossoni alla porta
d’ingresso, per fortuna serrata da un grosso lucchetto di ferro.
“Non
penserai di sfuggirmi! Io sono qui e brucerò tutto pur di stanarti!”.
Continua quella orrenda voce che sa di
oltretomba.
Come
sono arrivata a cacciarmi in una situazione del genere? La mia dabbenaggine. Il
voler vedere il bene ovunque, il mio atteggiamento da buona samaritana. Adesso
chi mi avrebbe salvato? Sento qualcosa strisciarmi tra i piedi, un brivido mi
percorre lo squittio è palesemente di un topo.
“Meglio
il ratto che quell’uomo.” Mi dico per farmi coraggio.
Inizio
a sentire freddo, ormai sono passate più di due ore…o forse il tempo si è
dilatato.
Il mio
orologio segna le ventuno…a casa mi aspettano…cosa avrebbero fatto se non fossi
più tornata! Una lacrima mi scende e con rabbia l’asciugo. Devo pensare a
salvarmi, a resistere…“Dove sei! Esci immediatamente o comincio ad arrabbiarmi!”.
Sento
la voce gridare, ma quello che mi fa più paura è il tono, è freddo, definitivo,
sembra una sentenza di morte. Mi riporta a quando mi tempestava di pugni
dicendomi “Hai fatto la cattiva. Te lo meriti!"
Al
buio striscio fuori dalla panchina, mi ricordo di una porta con cui si accedeva
nell’ufficio dell’impiegato. Quando nonno mi portava con sé mi faceva giocare
con i timbri della biglietteria. Era una stazione poco frequentata, vi si
fermavano solo gli accelerati.
Trascinandomi
sul pavimento con la mano tocco lo stipite della porta, pianissimo mi alzo e
raggiungo la maniglia. L’abbasso…la porta fa resistenza. Mi risiedo a terra, “se riuscissi ad aprirla, forse sarei più al
sicuro nell’altra stanza” penso.
Se non ricordo male c’è anche uno sgabuzzino, allora era utilizzato come
archivio.
“La
bella si nasconde…ma ti troverò. E poi….la FESTAAAA!” Urla la voce.
Comprendo che non ha paura di farsi sentire.
La stazione è isolata dal resto del paese.
Devo
farmi forza. Appena la luce della torcia si allontana, mi alzo e con piccole
spinte cerco di forzare la porta. Nonostante il freddo, un sudore gelido mi
avvolge.
“Sento
un rumore…ehi piccolina, ora ti trovo! Ti ricordi com’era bello quando facevamo
l’amore? Ora lo possiamo rifare, se farai la brava…!”.
Il
gelo, se possibile aumenta ho le mani che mi tremano, anche i denti battono e
sono sicura che ne abbia sentito il rumore.
“Un
…due…tre…ora ti prendooooo!” Continua l’incubo. Mi stendo a terra, faccia in
giù, cerco di calmare il battito cardiaco sempre più veloce. La luce della
torcia si è fatta più vicina. Attraverso la fessura della vecchia imposta
cerca di rischiarare l’ambiente interno e scovarmi.
“Piccolina,
lo so che ci sei. Facciamo un patto, tu esci ed io ti accompagno dove vuoi.
Che non mi credi? Non eri tu che mi dicevi…-Ho fiducia in te, quando avrai pagato il tuo debito con la giustizia
ti aiuterò, non temere…- Che solo
parole? Ora sono fuori e tu che fai? Scappi!” Il tono è sempre più arrabbiato.
Non
riesco a parlare, stupida, sciocca a credere ancora in lui, a pensare che gli
scatti d’ira fossero solo momentanei. Ripenso a quante volte l’ho perdonato, alle
innumerevoli situazioni in cui ho nascosto con il fard i lividi e ho
giustificato le reazioni violente. Stupida, stupida, stupida…Oggi quando
all’uscita dal lavoro mi è saltato addosso, mi sono sentita mancare e sono
scappata. Lui non conosce il nuovo indirizzo dove vivo con i bambini dopo averlo
denunciato, così mi ha consigliato l’avvocato. La fuga però non è servita. Ho
cercato di sfuggirgli ma mi ha raggiunto e con la forza mi ha fatto salire su
di un’auto, forse rubata. Gli ho dato un recapito falso voleva vedere i figli.
A un rifornimento di benzina gli sono sfuggita ora sono nella vecchia
stazione, lui giura vendetta.
“Nonno ti prego, aiutami.” Mi ripeto come
un mantra. Mi rialzo, ora che la luce si è allontanata mi appoggio con tutto
il mio peso contro la porta, ecco inizia a cedere e con un cigolio sommesso,
che a me sembra amplificato al massimo, riesco a sgusciare dentro. La richiudo
e camminando gattoni mi oriento nel buio.
“Piccolina,
non penserai che me ne andrò. Sapessi quante volte tra quelle quattro mura ho
sognato la mia vendetta. Ti farò urlare, ti strapperò i capelli, le unghie, ti
spappolerò il naso…nessuno ti potrà più guardare, neanche i bambini. “Continua
la voce.
Ancora a tentoni cerco la porta
dell’archivio. Ho le mani graffiate, il pantalone strappato, sento del sangue
sulle ginocchia. Ragnatele mi
imprigionano momentaneamente, ma sono niente rispetto alla voce, alla sua voce…
”Nonnino ti prego, aiutami. Fammi trovare
quella stanzetta.” Continuo a pregare. Inavvertitamente urto la seggiola,
sembra quella che usava il bigliettaio. In un flash lo rivedo, è dietro al
divisorio di vetro, non sempre si capivano le sue parole, quand’ero piccola
pensavo che non avesse gambe, lo avevo sempre visto dietro quel tramezzo. Il
rumore è tremendo, per me assordante. Mi fermo di botto. Lui avrà sentito…
“Ecco
degli indizi…allora piccolina so dove sei…fuoco…fuocherello….” La voce, per
fortuna, si allontana.
Aspetto
ancora un po’, poi mi alzo e con le braccia in avanti cerco di evitare gli
eventuali ostacoli. Raggiungo una parete e con le mani, come fossero occhi, tento
di trovare la porta della mia salvezza. Tasto la parete, poi un’ altra,
finalmente…eccola. Non è chiusa si apre subito appena ruoto la maniglia. L’aria
è stantia, sa di muffa, sporcizia…non ci sono aperture. Chiudo la porta alle
mie spalle, mi ci siedo contro e prendo il cellulare.
Si
accende subito, digito il 113…
“Aiuto,
sono alla vecchia stazione di Giammoro, chiusa in uno sgabuzzino. Il mio ex
vuole uccidermi, presto aiutatemi! E’ armato! Fate presto, vi prego…” Finisco
piangendo e urlando. Non sento neppure la risposta.
“Sto
arrivando! Fine dei giochi.” La voce è ormai vicina. Colpi alla porta sempre
più violenti, poi uno schianto… è stata abbattuta.
La
voce “Che cosa credevi, ormai sei nelle mie mani!” E’ lui che si aggira nella
sala d’aspetto, ha mandato in frantumi il divisorio in vetro, ha lanciato qualcosa
per aria che ricade con un gran fracasso di legno rotto, forse è quella vecchia
panchina…
“Nonno, nonno, se dovessi morire accoglimi
tu, ho paura.” Prego. Ormai è nella biglietteria, grida, rompe …distrugge.
“Guarda,
guarda…una porta. Piccolina sei lì, vero?” Si avventa contro, la mia fine è
vicina.
Con
la torcia mi illumina, un ghigno sconvolge quel volto che ho tanto amato. Mi
afferra per i capelli e mi trascina fuori dal rifugio ormai scoperto. Piango,
supplico, gli afferro una mano…“Ti prego, ti prego, non farmi male, pensa ai
bambini…!” Uno schiaffo violento mi spacca le labbra…”è la fine….nonno, vecchia stazione…” sono i miei pensieri mentre
implacabile continua a colpirmi. Improvvisa una sirena squarcia la notte. Ho
gli occhi gonfi per i pugni non vedo, sento a tratti una voce…“Fermo, lasciala…alza le mani!”
“Grazie nonno. Grazie vecchia stazione.” Do
voce ai miei pensieri.
Come
un fantoccio svuotato esausta resto a terra. Lo so, sono salva!
FINE
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