Mia adorata
Mi ritrovo tra le mani lettere di vita e d’amore datate dal
1949 al 1951.
Mi colpisce la carta patinata, su cui il tempo ha intessuto le
sue trame, la pagina non ha più il colore originale, è come se gli anni vi
avessero lasciato le proprie orme, la scrittura è leggera, vergata con pennino
ed inchiostro, per cui si nota l’attenzione nei simboli perfetti, un po'
inclinati a destra, come in una danza ritmata, uguale, perenne. Immagino mio
padre, seduto al tavolo che scrive….
È un bel giovane, capelli neri e ricci, occhi scuri come la
brace e un sorriso avaro, che dona solo a chi ama. Sono tante, tantissime queste lettere, mia
madre le tiene custodite nell’armadio. Ognuna è chiusa nella propria busta,
anch’essa patinata dal tempo e corredata dal francobollo in bianco e viola, rappresenta
un giovane che sembra portare un attrezzo in legno sulla spalla.
Non nascondo che un moto di rimpianto mi colpisce attecchendo
a cuore e mente. Sono lettere che mio padre, allora venticinquenne, inviava a
mia madre, appena diciottenne e sua promessa sposa. Come appare obsoleta promessa sposa, eppure dava l’importanza
di una scelta di vita, non momentanea ma eterna.
Prendo una busta verde militare, la apro e…un po' mi
vergogno, è come spiare dal “buco della serratura” ma il bisogno di sentire accanto
papà mi spinge a sbirciare. Chiedo il permesso a mia madre. Lei, oggi
novantenne, con un sorriso e una lacrima, me lo concede ed inizia così il mio
viaggio a ritroso nel tempo.
Mia adorata…inizia così la missiva.
Mia adorata…io sto bene e tu?... e leggo l’apprensione per quell’amore
lontano. Il bisogno di saperla in buona salute, il desiderio che traspare in quelle
parole sempre corrette, attente, rispettose di quell’amore intonso.
Invidio quel sentimento così puro, tra le parole leggi il
desiderio di stringerla tra le braccia, il bisogno dei suoi baci, anche
semplicemente di tenerla per mano, di passeggiare. Sono lettere in cui il sogno
di condividere una nuova vita sembra sempre troppo lontano. Sono parole che
descrivono lo scorrere del tempo. Mio padre racconta del lavoro, alacre e
produttivo e delle giornate vissute nell’attesa del ritorno a casa. Sono
lettere che fanno compagnia, molto lontane dai nostri sms, anonimi,
virgolettati, spesso accompagnati da emoticon che non ci appartengono. Mi fermo
a riflettere, mi chiedo se forse nei nostri amori ci siamo persi il
romanticismo, l’attesa, il sogno. Viviamo amori bruciati nella corsa del fare,
che dal desiderio passano subito alla soddisfazione. Peccato…non è forse
l’attesa a renderne sublime la realizzazione?
“Mia adorata vivo nel pensiero costante di te. Anche il
lavoro più duro o noioso ha un senso se presto ci rivedremo!”
Ancora quel bisogno di contatto reale. Mi guardo attorno e
vedo persone col cellulare in mano, per carità sempre connesse, sì... ma connesse
a cosa?
Che senso ha il contatto virtuale se dimentichiamo chi ci vive
accanto! Se non chiediamo un semplice “Come stai?” Reale, veritiero,
faccia a faccia…. Se non accarezziamo più una mano, una gota ma al massimo
inviamo un messaggio, magari ogni mattina ma non scritto da noi, semplicemente
copiato!!!
Dobbiamo riappropriarci della bellezza della parola
pronunciata, dei gesti dati e ricevuti, del contatto degli occhi, dei visi…
“Mia adorata…siamo stati creati l’uno per l’altra. Siamo due
pezzi che combaciano…senza di te sono solo una metà, tu… senza di me come ti
senti?”
Un brivido mi percorre e comprendo. Finalmente comprendo l’assenza
che mia madre, a distanza di anni, ancora avverte dopo la morte di mio padre.
Chi potrà mai colmare quel vuoto?
L’unica consolazione è che lei ha vissuto l’intenso amore, un
giorno incontrandolo in una diversa dimensione, potrà continuarne a viverne la
bellezza.
“Mia adorata..” chiudo la lettera, è uno scrigno che non m’appartiene!
La ripongo nella sua busta ingiallita dal tempo.
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