Il valore del mio tempo
Il
tempo presente mi passa accanto, sfiora la mia mente, la mia memoria, spesso mi
manca la consapevolezza del mio agire.
Non
vivo sola, “badanti”, così le chiamano, condividono la mia quotidianità.
Mi
lavano, mi pettinano, mi vestono, non sempre gentilmente.
Tanti
volti si sono susseguiti accanto a me, sono sfocati, non hanno lasciato
traccia, forse qualcuna sì, quando mi redarguiva per una mia inconsapevole
mancanza.
Quando
si è vecchi, si vecchi, non anziani, i tuoi familiari ti guardano con
compassione “amorevole” se non li disturbi troppo, a volte con simpatia, “siamo
simpatici e forse comici” quando proferiamo una sciocchezza, confondiamo i
volti, con insofferenza se hai pretese,
mai come persone.
E'
un mio cruccio!
La
mia casa risuonava di voci, gioia, anche urla, qualche volta, ora sembra
l'anticamera di un ospedale.
Ritorna
alla vita, quando mia figlia torna a casa per qualche giorno ma, ora più che
mai, preferisce stare lontana, non sopporta la mia decadenza fisica e mentale,
mi rimprovera a volte se non ho voglia di parlare o di reagire a un suo
“legittimo” stimolo, così lo chiama lei.
Non
cucino più, anche se alcune volte la mia mente fa le bizze e crede di aver
preparato il pranzo per la mia grande famiglia. Poi, mi accorgo che non è così
e mi richiudo nel silenzio.
Osservo
tutto e rimugino su chi mi sta accanto giornalmente o saltuariamente.
Mi
nasce un sorriso spontaneo quando mi portano i dolcetti, loro non sanno che
torno bimba, quando io, la più piccola della famiglia, ero ammansita con
zucchero e cioccolato.
E'
vero, sono molto golosa, un pasticcino mi porta con i sensi in un paradiso
tutto mio dove la dolcezza è sovrana.
Mentre
li gusto osservo lo sguardo compiaciuto di chi me li ha donati.
Sorrido
ancora dentro di me: mi trattano come una scema ma non sanno che soppeso,
giudico.
Pensano
che l’Alzheimer mi abbia tolto la facoltà di giudizio, ma non sanno che si
sbagliano.
Spesso
vago nel passato...
Rivedo
il mio adorato marito, l'unico grande amore della mia vita. Ricordo ancora i
bigliettini che mi mandava con la mia amica Maria, per parlarmi del suo puro
sentimento.
Spesso
lo paragono agli amorazzi giovanili, dove tutto nasce e muore in poco tempo.
Tutto bruciato con i sensi. Noi coltivavamo l'amore, era una piantina da
curare, annaffiare, potare, concimare, per essere forte e contrastare gli
eventi della vita.
Se
chiudo gli occhi, nella mia solitudine dell'anima, posso rivivere il primo
bacio, la prima passione dei sensi, la nascita dei figli.
Tutti
partoriti in casa con un’ ostetrica indaffarata e non sempre all'altezza.
Si
partoriva nel dolore più assoluto, quello sforzo sovrumano ti portava poi la
gioia più grande: un figlio.
Ieri
o forse...oggi, non ricordo, la mente mi fa brutti scherzi, è venuta a trovarmi
una vecchia amica.
Era
da tempo che mi ignorava.
Era
tutta “impupata”, ho fatto finta di non riconoscerla. Poi mi è dispiaciuto, ma
non sopportavo la sua indipendenza.
L'ha
accompagnata la figlia puntualizzando “Mia madre è autosufficiente!”
Io
no, è stato uno schiaffo, una rabbia grande mi ha stretto il cuore. Lei esce,
va a trovare le amiche, io no, lei calzava delle belle scarpe in vernice nera,
io no , solo le pantofole, per stare comoda, così mi dicono. Indossava un bell'abito
blu di lana, io no,camicie da notte, calze di lana, vestaglia. Sembro sempre
pronta per un ricovero improvviso.
Non esisto più come donna che vuol essere
elegante, sempre piacevole.
L'amica,
prima ha cercato di parlarmi poi, vedendo che non “recepivo”, ha scosso la
testa e ha dialogato con mia figlia, come se io fossi stata trasparente:
“Mangia, dorme, evacua?”
Che
schifo! Non sono trasparente ma soprattutto sento! E mi vergogno quando parlate
così!
Allora
ammutolisco e mi richiudo, come un riccio, nel passato.
Anzi…
non sono un riccio ma sono come un'ostrica che se si apre, può mostrare la
propria perla preziosa se… sapete guardare
Io quella perla la possiedo, sono i miei
ricordi.
Mi
intenerisco quando vengono a trovarmi i nipoti, purtroppo non lo fanno spesso.
Uno è più presente degli altri. E' bello, intelligente, mi parla del suo
lavoro, dei suoi successi. Spesso prende le foto e insieme le guardiamo. In
quei momenti la mia vita diventa un libro aperto. La memoria del passato
ritorna vivida e socchiudendo gli occhi parlo….
racconto aneddoti e in quei momenti sono viva, il cuore torna palpitare,
le mani si muovono per imprimere le emozioni che mi salgono dal petto, nei miei
occhi si affaccia qualche lacrima struggente, le parole escono spontanee e i
ricordi mi assalgono come onde di un mare in tempesta. Poi, chiuso l'album di
foto, anche la mia mente si spegne, come l' interruttore premuto di una la
lampada e torno nel limbo della mia vita...
Ho
imparato a ringraziare tutti, per ogni piccolo gesto che mi riguarda, mi sono
accorta che li commuovo e allora insisto. Sono “paraculo” lo so, è una mia
piccola vendetta.
Da
quando sono ammalata ho imparato la sopportazione. Sopporto il dolore, la noia,
la disperazione che a volte mi assale la notte. Odio lo sfacelo del mio corpo,
non voglio più guardarmi allo specchio.
Non tollero la pietà mascherata da affetto.
Mi
sono accorta che prima mi riempiono di smancerie poi, appena mi voltano le
spalle, c'è l'ipocrisia della pietà “Poveretta non è più lei, è così magra, lei
che era sempre impeccabile ora è l'ombra di se stessa!”
Quando
ascolto questi commenti, non sempre così velati vorrei urlare “Basta, non sono
sorda, sento, mi offendo, non vorrei essere così ma la malattia è implacabile.
Copre la bellezza, la gioventù, oscura tutto con un velo che non puoi
squarciare in nessun modo. Invece di blaterare non andatevene, non lasciatemi
sola! Ho paura....
Ho
paura del buio, della morte, del dolore mentale, della solitudine, delle
badanti, dei rumori più forti, ho paura dell'abbandono!”
Poi,
per fortuna, il velo pietoso dell'oblio mi calma, ovatta la mia mente, mi
accarezza, mi fa compagnia, e forse, torno la vecchietta inoffensiva, quella col sorriso sdentato, che mastica e rimastica come un ruminante prima di inghiottire
qualcosa e che, soprattutto ama il cioccolato.
Ma
sono anche altro.....una grande donna che ha affrontato la guerra, che ha
cucito per i soldati al fronte, che ha pianto per il fratello disperso in
guerra, che ha sotterrato i propri morti, che ha affrontato il cancro e lo ha
sconfitto, che ha aiutato i profughi. Una donna che ha viaggiato, che è andata
in America, da sola, quaranta' anni fa.
Non
una sprovveduta, non fatevi ingannare dalla fragile figura su questa poltrona,
sono forte per esperienza.
....Oggi
vorrei tanto uscire, fare una passeggiata in Marina, sono anni che non lo
faccio.
E'
vero non cammino bene, faccio fatica, mi stanco facilmente, ma sentire l'odore
del mare, guardare l'orizzonte, mi aiuterebbe tanto.
Ieri
ho accennato qualcosa a mio figlio ma lui mi ha guardata infastidito, ho capito
e ho subito chiuso bocca.
A
volte quando sono sola nella mia camera, mi viene spontaneo pensare: Ma come
mi vedono? Come un ectoplasma da nutrire
e basta?
Voglio
uscire, vedere gente, parlare, ascoltare, ridere, sorridere e anche piangere.
Vorrei
andare a teatro, come facevo centinaia d'anni fa, vestirmi elegantemente,
andare dal parrucchiere, imbellettarmi per piacere agli altri, come una volta.
Alcuni
giorni fa ...o forse ieri..non so, mio nipote guardava le mie foto da giovane e ha esclamato
“Nonna com'eri bella!” Mi ha fatto piacere ma una lacrima è ugualmente scesa
lungo le mie guance avvizzite, si è
addirittura persa fra le rughe.
Con
la scusa di andare al bagno, aiutata dalla badante, non so come si chiama, mi
sono guardata allo specchio. Non mi sono riconosciuta, era un'estranea quella
che mi scrutava dalla superficie lucida, solo il colore degli occhi è rimasto
uguale e in quello sguardo mi sono persa.
Sono
tornata, aiutata, sulla mia solita poltrona e chiudendo gli occhi, ho capito
come gli altri mi vedono.
Mi
si è straziata l'anima. Un dolore lancinante mi ha preso il petto. Lo specchio
mi ha rinviato l'immagine di ciò che gli
altri vedono, della dura realtà.
Dio
mio!
E'
questa la vecchiaia?
Il
tempo vissuto lascia le sue impronte indelebili sulla pelle, la marca a fuoco,
la incide con gli artigli ma, cosa importante anche l'anima rispecchia l'incisione, non ne è immune.
Assolutamente no.
Se
ascolto il mio cuore, sento il dolore passato, presente, futuro, è una stilla
continua che scava giorno dopo giorno, ora dopo ora, e ti cambia , ti muta,
come acqua che scorre sulle pietre e le leviga, le arrotonda.
Guardando
i miei figli, anche loro ormai adulti ,vorrei dire “Vivete a piene mani, intensamente,
il tempo perduto non torna. Il tempo va coltivato attimo per attimo, deve
essere sempre pieno, mai vuoto, sarebbe uno spreco! Ma non abbandonate chi vi
sta accanto, non siate ciechi, ma vedete, osservate, aiutate. Soprattutto
…Guardatemi! Ma fatelo con gli occhi dell’anima, dell’affetto, del cuore. Non
lasciatevi travisare dal rottame che avete dinanzi!
Non
soffermatevi all'apparenza, andate oltre, soppesate, confrontate, capite:
Dovete
capire cosa c'è dietro il mio sguardo a volte fatuo. Leggete se potete nella
profondità di una parola, di un gesto, di una frase non finita, interrotta.
Porgetemi
la mano, anzi ascoltate il mio cuore, nel suo lento battito capirete che vi ho donato tutto, vi ho dato
la vita, con le sue promesse forse non mantenute. Donatemi un po' del vostro
tempo. Me ne basta poco, ma che sia vero, vissuto, compreso, condiviso nella
sua interezza. Fate che un minuto sia un
minuto, sessanta secondi di amore integro e partecipato, forse solo così varrà
ancora la pena di vivere.
Conosco il mio passato, il presente non lo
comprendo pienamente, ma il mio futuro cosa sarà?
Avrò
un futuro?
L'oblio
della malattia forse mi condurrà verso la fine in modo indolore, vivrò il
passaggio da questa terra all'aldilà in modo tranquillo senza patemi perché per
me l'oggi non esiste. Comprenderò appieno un momento così importante?
Alcune
volte me lo chiedo poi.....come al solito, la mente vaga e la mia domanda resta
senza risposta.
Magari
è anche un bene, è come essere sempre bambina nella speranza di un domani che è
già un oggi dimentico degli eventi.
Desidero
solo una cosa, questa si, che mi si ricordi non come sono oggi, anche perché
per me il presente non esiste, ma come ero ieri: madre, moglie ma soprattutto
donna!
Sulla
mia lapide dovrebbero scrivere: E' stata una grande donna anche quando il corpo
avvizziva e la mente vagava.
Mi
piacerebbe davvero, in queste
parole c'è la dignità che troppo spesso
la malattia mi ha tolto.
Dignità
violata, quando mi cambiavano senza chiudere la porta della camera da letto, io
che sono sempre stata pudica, dignità infranta quando mio figlio mi curava le
piaghe da decubito, e, con indifferenza, le faceva vedere ai parenti per
mostrare quanto era stato bravo nel medicarle, dignità infangata quando
raccontavano a chi era venuto a
trovarmi, che mi ero sporcata perché ormai non avvertivo lo stimolo della
defecazione.
Che
vergogna ho provato, avrei voluto in quel momento chiudere gli occhi per
sempre, scomparire dalla faccia della terra.
Non
trovavo giusto che mi trattassero da infante a cui si cambiano i pannolini
anche davanti agli estranei. Sono una donna adulta, troppo spesso lo
dimenticano!
Ecco
spesso mancano di delicatezza nei miei confronti, dovrei prendere appunti,
scriverlo per ricordarmi cosa voglio.
Una
volta leggevo i giornali, tutto mi interessava ora no, hanno rinunciato a
tenermi informata eppure credo che sia importante per me, voglio conoscere il
tempo in cui vivo, anche per pochi minuti, così mi sentirei partecipe di una
società che troppo spesso dimentica i malati.
Di
giorno c’è sempre il televisore acceso, forse per illudersi di allontanare la
mia solitudine, non sempre comprendo ciò che trasmettono, forse perché mi
appisolo, però troppo spesso le immagini
sono piene di violenza, guerre in paesi lontani, deflagrazioni, morti,
violenze, per fortuna il mio male mi
ripara da questo sconcio, guardo poi dimentico. Le ferite sono subite
rimarginate dall’oblio. Il tempo così non porta dolore presente.
Oggi
è Natale, me lo hanno detto varie volte. Mi hanno fatto indossare l’abito nuovo
e finalmente ho un paio di scarpe vere ai piedi.
Ho
mangiato, sento il ventre soddisfatto, ma non ricordo cosa. Di sicuro ho
chiesto più volte il dolce e mi hanno accontentato lo so, sento ancora lo
zucchero sulle labbra e ho qualche granello di pan di spagna sui vestiti, è buono anche quello, l’ho
assaggiato. Sicuramente do l’impressione di una bimba davanti alla vetrina di
una pasticceria. Mi sento serena ma non so perché. Anzi lo so, nella mia casa
c’era tanta gente, si sono ricordati di me, magari domani non torneranno, non
avranno tempo. Il loro tempo è prezioso, così dicono, hanno mille impegni,
tanto stress, non sanno però che lo è di più il mio, perché è sul finire, è
come il moccolo di una candela il cui stoppino
è ormai al lumicino. Cercheranno di ravvivare la fiamma ma non ce la
faranno, il mio tempo sarà finito e forse resteranno con il rimpianto per cose
pensate e non dette, rimandate e poi mai fatte.
Rimpiangeranno
un “Ti voglio bene” sussurrato, magari pensato e mai proferito, penseranno
all’abbraccio accennato ma che non ha mai chiuso in un cerchio questo mio
fragile corpo, ricorderanno quella carezza finita sul nascere. Quanto inutile
rimpianto!
Ora
so cosa vorrei, lo so con certezza: un palese affetto che non lesina nelle dimostrazioni, non
soltanto nell’accudire la quotidianità ma che sia fatto di gesti dati e
ricevuti, voglio no anzi vorrei…baci
sulle guance. Soprattutto dei più piccini di casa. Quei baci fatti di zucchero
e caramelle appena succhiate, vorrei che i più grandi mi raccontassero dei loro
amori, amori nascenti o maturi, ma sempre amori. Vorrei essere partecipe dei
loro affanni, dolori ma anche gioie e se poi dovessi dimenticare tutto, come
purtroppo avviene, vorrei che avessero pazienza e senza noia ritornassero a
raccontare.
Solo
così il presente diverrebbe passato e forse potrei ricordare.
Ma
questa mia malattia non è solo cattiva, ha anche un aspetto positivo, mi mette
al riparo da molte cose. Tra le pieghe della memoria non rimane traccia di assenze,
mancanze, di lutti recenti, di sgarbi. Forse soffro meno. Forse…. Una domanda
però è sempre in me: agli occhi di Dio conta di più il tempo vissuto, quello
lontano nel tempo, quando ero sempre me
stessa, lavoravo, producevo, non ero un “peso” anzi aiutavo e forse avevo un
valore per gli altri o anche il mio
tempo presente, se soppesato, è
prezioso?
E’
un tempo presente vissuto in poltrona,
con la memoria lontana persa in un passato remoto in cui gli uomini non
tornano con i ricordi, ma rivivono solo per poco, con le parole di gesti
passati che non hanno fatto la storia.
Ora
chiudo gli occhi, sono stanca, non dormo, ascolto chi mi vive accanto perché
costretta dagli eventi, cerco la sua mano, è l’unico contatto vivo in questo
pomeriggio… forse d’inverno.
A
mia suocera
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