domenica 2 agosto 2015

Il valore del mio tempo

                                 Il  valore del mio tempo

Il tempo presente mi passa accanto, sfiora la mia mente, la mia memoria, spesso mi manca la consapevolezza del mio agire.
Non vivo sola, “badanti”, così le chiamano, condividono la mia quotidianità.
Mi lavano, mi pettinano, mi vestono, non sempre gentilmente.
Tanti volti si sono susseguiti accanto a me, sono sfocati, non hanno lasciato traccia, forse qualcuna sì, quando mi redarguiva per una mia inconsapevole mancanza.
Quando si è vecchi, si vecchi, non anziani, i tuoi familiari ti guardano con compassione “amorevole” se non li disturbi troppo, a volte con simpatia, “siamo simpatici e forse comici” quando proferiamo una sciocchezza, confondiamo i volti,  con insofferenza se hai pretese, mai come persone.
E' un mio cruccio!
La mia casa risuonava di voci, gioia, anche urla, qualche volta, ora sembra l'anticamera di un ospedale.
Ritorna alla vita, quando mia figlia torna a casa per qualche giorno ma, ora più che mai, preferisce stare lontana, non sopporta la mia decadenza fisica e mentale, mi rimprovera a volte se non ho voglia di parlare o di reagire a un suo “legittimo” stimolo, così lo chiama lei.
Non cucino più, anche se alcune volte la mia mente fa le bizze e crede di aver preparato il pranzo per la mia grande famiglia. Poi, mi accorgo che non è così e mi richiudo nel silenzio.
Osservo tutto e rimugino su chi mi sta accanto giornalmente o saltuariamente.
Mi nasce un sorriso spontaneo quando mi portano i dolcetti, loro non sanno che torno bimba, quando io, la più piccola della famiglia, ero ammansita con zucchero e cioccolato.
E' vero, sono molto golosa, un pasticcino mi porta con i sensi in un paradiso tutto mio dove la  dolcezza è sovrana.
Mentre li gusto osservo lo sguardo compiaciuto di chi me li ha donati.
Sorrido ancora dentro di me: mi trattano come una scema ma non sanno che soppeso, giudico.
Pensano che l’Alzheimer mi abbia tolto la facoltà di giudizio, ma non sanno che si sbagliano.
Spesso vago nel passato...
Rivedo il mio adorato marito, l'unico grande amore della mia vita. Ricordo ancora i bigliettini che mi mandava con la mia amica Maria, per parlarmi del suo puro sentimento.
Spesso lo paragono agli amorazzi giovanili, dove tutto nasce e muore in poco tempo. Tutto bruciato con i sensi. Noi coltivavamo l'amore, era una piantina da curare, annaffiare, potare, concimare, per essere forte e contrastare gli eventi della vita.
Se chiudo gli occhi, nella mia solitudine dell'anima, posso rivivere il primo bacio, la prima passione dei sensi, la nascita dei figli.
Tutti partoriti in casa con un’ ostetrica indaffarata e non sempre all'altezza.
Si partoriva nel dolore più assoluto, quello sforzo sovrumano ti portava poi la gioia più grande: un figlio.
Ieri o forse...oggi, non ricordo, la mente mi fa brutti scherzi, è venuta a trovarmi una vecchia amica.
Era da tempo che mi ignorava.
Era tutta “impupata”, ho fatto finta di non riconoscerla. Poi mi è dispiaciuto, ma non sopportavo la sua indipendenza.
L'ha accompagnata la figlia puntualizzando “Mia madre è autosufficiente!”
Io no, è stato uno schiaffo, una rabbia grande mi ha stretto il cuore. Lei esce, va a trovare le amiche, io no, lei calzava delle belle scarpe in vernice nera, io no , solo le pantofole, per stare comoda, così mi dicono. Indossava un bell'abito blu di lana, io no,camicie da notte, calze di lana, vestaglia. Sembro sempre pronta per un ricovero improvviso.
 Non esisto più come donna che vuol essere elegante, sempre piacevole.
L'amica, prima ha cercato di parlarmi poi, vedendo che non “recepivo”, ha scosso la testa e ha dialogato con mia figlia, come se io fossi stata trasparente: “Mangia, dorme, evacua?”
Che schifo! Non sono trasparente ma soprattutto sento! E mi vergogno quando parlate così!
Allora ammutolisco e mi richiudo, come un riccio, nel passato.
Anzi… non sono un riccio ma sono come un'ostrica che se si apre, può mostrare la propria perla preziosa se… sapete guardare
 Io quella perla la possiedo, sono i miei ricordi.
Mi intenerisco quando vengono a trovarmi i nipoti, purtroppo non lo fanno spesso. Uno è più presente degli altri. E' bello, intelligente, mi parla del suo lavoro, dei suoi successi. Spesso prende le foto e insieme le guardiamo. In quei momenti la mia vita diventa un libro aperto. La memoria del passato ritorna vivida e socchiudendo gli occhi parlo….  racconto aneddoti e in quei momenti sono viva, il cuore torna palpitare, le mani si muovono per imprimere le emozioni che mi salgono dal petto, nei miei occhi si affaccia qualche lacrima struggente, le parole escono spontanee e i ricordi mi assalgono come onde di un mare in tempesta. Poi, chiuso l'album di foto, anche la mia mente si spegne, come l' interruttore premuto di una la lampada e torno nel limbo della mia vita...
Ho imparato a ringraziare tutti, per ogni piccolo gesto che mi riguarda, mi sono accorta che li commuovo e allora insisto. Sono “paraculo” lo so, è una mia piccola vendetta.
Da quando sono ammalata ho imparato la sopportazione. Sopporto il dolore, la noia, la disperazione che a volte mi assale la notte. Odio lo sfacelo del mio corpo, non voglio più guardarmi allo specchio.
 Non tollero la pietà  mascherata da affetto.
Mi sono accorta che prima mi riempiono di smancerie poi, appena mi voltano le spalle, c'è l'ipocrisia della pietà “Poveretta non è più lei, è così magra, lei che era sempre impeccabile ora è l'ombra di se stessa!”
Quando ascolto questi commenti, non sempre così velati vorrei urlare “Basta, non sono sorda, sento, mi offendo, non vorrei essere così ma la malattia è implacabile. Copre la bellezza, la gioventù, oscura tutto con un velo che non puoi squarciare in nessun modo. Invece di blaterare non andatevene, non lasciatemi sola! Ho paura....
Ho paura del buio, della morte, del dolore mentale, della solitudine, delle badanti, dei rumori più forti, ho paura dell'abbandono!”
Poi, per fortuna, il velo pietoso dell'oblio mi calma, ovatta la mia mente, mi accarezza, mi fa compagnia, e forse, torno la vecchietta inoffensiva,  quella col sorriso sdentato, che mastica  e rimastica come un ruminante prima di inghiottire qualcosa e che, soprattutto ama il cioccolato.
Ma sono anche altro.....una grande donna che ha affrontato la guerra, che ha cucito per i soldati al fronte, che ha pianto per il fratello disperso in guerra, che ha sotterrato i propri morti, che ha affrontato il cancro e lo ha sconfitto, che ha aiutato i profughi. Una donna che ha viaggiato, che è andata in America, da sola, quaranta' anni fa.
Non una sprovveduta, non fatevi ingannare dalla fragile figura su questa poltrona, sono forte per esperienza.
....Oggi vorrei tanto uscire, fare una passeggiata in Marina, sono anni che non lo faccio.
E' vero non cammino bene, faccio fatica, mi stanco facilmente, ma sentire l'odore del mare, guardare l'orizzonte, mi aiuterebbe tanto.
Ieri ho accennato qualcosa a mio figlio ma lui mi ha guardata infastidito, ho capito e ho subito chiuso bocca.
A volte quando sono sola nella mia camera, mi viene spontaneo pensare: Ma come mi  vedono? Come un ectoplasma da nutrire e basta?
Voglio uscire, vedere gente, parlare, ascoltare, ridere, sorridere e anche piangere.
Vorrei andare a teatro, come facevo centinaia d'anni fa, vestirmi elegantemente, andare dal parrucchiere, imbellettarmi per piacere agli altri, come una volta.
Alcuni giorni fa ...o forse ieri..non so, mio nipote  guardava le mie foto da giovane e ha esclamato “Nonna com'eri bella!” Mi ha fatto piacere ma una lacrima è ugualmente scesa lungo le mie guance  avvizzite, si è addirittura persa fra le rughe.
Con la scusa di andare al bagno, aiutata dalla badante, non so come si chiama, mi sono guardata allo specchio. Non mi sono riconosciuta, era un'estranea quella che mi scrutava dalla superficie lucida, solo il colore degli occhi è rimasto uguale e in quello sguardo mi sono persa.
Sono tornata, aiutata, sulla mia solita poltrona e chiudendo gli occhi, ho capito come gli altri mi vedono.
Mi si è straziata l'anima. Un dolore lancinante mi ha preso il petto. Lo specchio mi ha rinviato l'immagine  di ciò che gli altri vedono, della dura realtà.
Dio mio!
E' questa la vecchiaia?
Il tempo vissuto lascia le sue impronte indelebili sulla pelle, la marca a fuoco, la incide con gli artigli ma, cosa importante anche l'anima  rispecchia l'incisione, non ne è immune. Assolutamente no.
Se ascolto il mio cuore, sento il dolore passato, presente, futuro, è una stilla continua che scava giorno dopo giorno, ora dopo ora, e ti cambia , ti muta, come acqua che scorre sulle pietre e le leviga, le arrotonda.
Guardando i miei figli, anche loro ormai adulti ,vorrei dire “Vivete a piene mani, intensamente, il tempo perduto non torna. Il tempo va coltivato attimo per attimo, deve essere sempre pieno, mai vuoto, sarebbe uno spreco! Ma non abbandonate chi vi sta accanto, non siate ciechi, ma vedete, osservate, aiutate. Soprattutto …Guardatemi! Ma fatelo con gli occhi dell’anima, dell’affetto, del cuore. Non lasciatevi travisare dal rottame che avete dinanzi!
Non soffermatevi all'apparenza, andate oltre, soppesate, confrontate, capite:
Dovete capire cosa c'è dietro il mio sguardo a volte fatuo. Leggete se potete nella profondità di una parola, di un gesto, di una frase non finita, interrotta.
Porgetemi la mano, anzi ascoltate il mio cuore, nel suo lento battito  capirete che vi ho donato tutto, vi ho dato la vita, con le sue promesse forse non mantenute. Donatemi un po' del vostro tempo. Me ne basta poco, ma che sia vero, vissuto, compreso, condiviso nella sua interezza. Fate che un minuto  sia un minuto, sessanta secondi di amore integro e partecipato, forse solo così varrà ancora la pena di vivere.
 Conosco il mio passato, il presente non lo comprendo pienamente, ma il mio futuro cosa sarà?
Avrò un futuro?
L'oblio della malattia forse mi condurrà verso la fine in modo indolore, vivrò il passaggio da questa terra all'aldilà in modo tranquillo senza patemi perché per me l'oggi non esiste. Comprenderò appieno un momento così importante?
Alcune volte me lo chiedo poi.....come al solito, la mente vaga e la mia domanda resta senza risposta.
Magari è anche un bene, è come essere sempre bambina nella speranza di un domani che è già un oggi dimentico degli eventi.
Desidero solo una cosa, questa si, che mi si ricordi non come sono oggi, anche perché per me il presente non esiste, ma come ero ieri: madre, moglie ma soprattutto donna!
Sulla mia lapide dovrebbero scrivere: E' stata una grande donna anche quando il corpo avvizziva e la mente vagava.
Mi piacerebbe davvero,  in queste parole  c'è la dignità che troppo spesso la  malattia mi ha tolto.
Dignità violata, quando mi cambiavano senza chiudere la porta della camera da letto, io che sono sempre stata pudica, dignità infranta quando mio figlio mi curava le piaghe da decubito, e, con indifferenza, le faceva vedere ai parenti per mostrare quanto era stato bravo nel medicarle, dignità infangata quando raccontavano a chi era  venuto a trovarmi, che mi ero sporcata perché ormai non avvertivo lo stimolo della defecazione.
Che vergogna ho provato, avrei voluto in quel momento chiudere gli occhi per sempre, scomparire dalla faccia della terra.
Non trovavo giusto che mi trattassero da infante a cui si cambiano i pannolini anche davanti agli estranei. Sono una donna adulta, troppo spesso lo dimenticano!
Ecco spesso mancano di delicatezza nei miei confronti, dovrei prendere appunti, scriverlo per ricordarmi cosa voglio.
Una volta leggevo i giornali, tutto mi interessava ora no, hanno rinunciato a tenermi informata eppure credo che sia importante per me, voglio conoscere il tempo in cui vivo, anche per pochi minuti, così mi sentirei partecipe di una società che troppo spesso dimentica i malati.
Di giorno c’è sempre il televisore acceso, forse per illudersi di allontanare la mia solitudine, non sempre comprendo ciò che trasmettono, forse perché mi appisolo,  però troppo spesso le immagini sono piene di violenza, guerre in paesi lontani, deflagrazioni, morti, violenze, per fortuna il mio male  mi ripara da questo sconcio, guardo poi dimentico. Le ferite sono subite rimarginate dall’oblio. Il tempo così non porta dolore presente.
Oggi è Natale, me lo hanno detto varie volte. Mi hanno fatto indossare l’abito nuovo e finalmente ho un paio di scarpe vere ai piedi.
Ho mangiato, sento il ventre soddisfatto, ma non ricordo cosa. Di sicuro ho chiesto più volte il dolce e mi hanno accontentato lo so, sento ancora lo zucchero sulle labbra e ho qualche granello di pan di spagna  sui vestiti, è buono anche quello, l’ho assaggiato. Sicuramente do l’impressione di una bimba davanti alla vetrina di una pasticceria. Mi sento serena ma non so perché. Anzi lo so, nella mia casa c’era tanta gente, si sono ricordati di me, magari domani non torneranno, non avranno tempo. Il loro tempo è prezioso, così dicono, hanno mille impegni, tanto stress, non sanno però che lo è di più il mio, perché è sul finire, è come il moccolo di una candela il cui stoppino  è ormai al lumicino. Cercheranno di ravvivare la fiamma ma non ce la faranno, il mio tempo sarà finito e forse resteranno con il rimpianto per cose pensate e non dette, rimandate e poi mai fatte.
Rimpiangeranno un “Ti voglio bene” sussurrato, magari pensato e mai proferito, penseranno all’abbraccio accennato ma che non ha mai chiuso in un cerchio questo mio fragile corpo, ricorderanno quella carezza finita sul nascere. Quanto inutile rimpianto!
Ora so cosa vorrei, lo so con certezza: un palese affetto  che non lesina nelle dimostrazioni, non soltanto nell’accudire la quotidianità ma che sia fatto di gesti dati e ricevuti, voglio  no anzi vorrei…baci sulle guance. Soprattutto dei più piccini di casa. Quei baci fatti di zucchero e caramelle appena succhiate, vorrei che i più grandi mi raccontassero dei loro amori, amori nascenti o maturi, ma sempre amori. Vorrei essere partecipe dei loro affanni, dolori ma anche gioie e se poi dovessi dimenticare tutto, come purtroppo avviene, vorrei che avessero pazienza e senza noia ritornassero a raccontare.
Solo così il presente diverrebbe passato e forse potrei ricordare.
Ma questa mia malattia non è solo cattiva, ha anche un aspetto positivo, mi mette al riparo da molte cose. Tra le pieghe della memoria non rimane traccia di assenze, mancanze, di lutti recenti, di sgarbi. Forse soffro meno. Forse…. Una domanda però è sempre in me: agli occhi di Dio conta di più il tempo vissuto, quello lontano nel tempo,  quando ero sempre me stessa, lavoravo, producevo, non ero un “peso” anzi aiutavo e forse avevo un valore per gli altri o anche  il mio tempo presente,  se soppesato, è prezioso?
E’ un tempo presente vissuto in poltrona,  con la memoria lontana persa in un passato remoto in cui gli uomini non tornano con i ricordi, ma rivivono solo per poco, con le parole di gesti passati che non hanno fatto la storia.
Ora chiudo gli occhi, sono stanca, non dormo, ascolto chi mi vive accanto perché costretta dagli eventi, cerco la sua mano, è l’unico contatto vivo in questo pomeriggio… forse d’inverno.

A mia suocera


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