Ho nostalgia del mio Natale, una festa sincera dove il denaro era davvero poco. Tutto si svolgeva nel massimo della semplicità e spiritualità. Sicuramente sembrerò ovvia e nostalgica ma il Natale degli anni sessanta aveva un altro sapore, davvero!
Il giorno dell' Immacolta, otto dicembre, mia mamma prendeva in cantina le vecchie decorazioni e un alberello finto, un po' spennacchiato che aveva l'aspetto del poverello che doveva essere rivestito per apparire bello.
Era un' attesa spasmodica.
Per noi bambini aprire i vecchi scatoloni e rivedere, dopo un anno, gli addobbi era un rito.
Ogni volta mi sembravano bellissimi, pur non essendo decorati come quelli di oggi. Erano di vetro, lucidi e lisci, la plastica non aveva invaso il mercato. Erano tutti gingilli tondi, di tutte le misure ma solo rigorosamente tondi, io mi ci specchiavo. Ricordo che mamma ogni anno li riponeva con religiosa cura avvolgendoli uno per uno nella carta velina, non andavano rotti, tutto veniva riusato!
Le luminarie non avevano giochi di luci ma solo una intermittenza che però, davanti ai miei occhi di bambina, sembrava magia.
Rammento la gioia che provavo nel rivestire il vecchio alberello che da spoglio diventava sontuoso con tutto il suo carico di ricordi...Di ogni addobbo mia madre ricordava la storia ed era bellissimo ascoltarla anche perché era sempre arricchita da aneddoti nuovi, veri o falsi non so, sicuramente rendevano unico l'alberello di Natale.
Un altro rito importante della mia infanzia era la preparazione del Presepe.
Si iniziava con la raccolta della “sparracina”, una pianta che oggi, con tutti gli ibridi presenti nelle serre, sembra scomparsa.
Questo arbusto produceva delle bacche verdi che mature diventavano rosse, era abbastanza “capricciosa”. Fornita di spine non era facile toccarla o tenerla in mano.
La raccoglievo nel giardino della fattoria della zia Venera. Ne facevo un bel fascio che poi mia madre provvedeva a intrecciare per farne un semicerchio che veniva posto, come un cielo, sopra il presepe.
Alla sparracina venivano legati i mandarini e, avendoli, anche quelli piccoli cinesi a mò di lampadari. Ancora oggi se chiudo gli occhi ne rivedo la particolarità e ne risento il profumo. Nessun presepe per quanto bello e sontuoso, ricco di automatismi e statue perfette, sarà mai bello come quello della mia tradizione siciliana.
Alla base del presepe mettevo il muschio che regolarmente bagnavo e le pietruzze bianche per segnare le stradine da conducevano alla Sacra Famiglia.
Tocco finale i pastori.....sicuramente non erano belli e perfetti come quelli di plastica ma avevano anche loro.... un vissuto.
Le mie statuine erano di terracotta, alcune scolorite, altre con il braccio rotto, il naso smussato, spesso non stavano in piedi a lungo, a causa del deterioramento naturale del materiale ma per me, per noi bambini, erano bellissime perché intrise di storia. Alcune erano appartenute ai miei nonni che me ne avevano fatto dono. Ricordo che avevo sei Re Magi, mi ostinavo a metterli tutti perché ero convinta che tutti dovevano far parte del mio presepe, nessuno escluso. Come potevo mettere da parte una statuina rispetto ad un'altra se dovevano partecipare alla nascita di Gesù!
Ricordo che il Bambinello con le sue braccine rivolte al cielo, veniva posto nella paglia solo la notte di Natale. Lo toglievo dal cassetto del mio comodino, lo mettevo nella tasca del mio cappottino, avvolto in una pezzuola, avevo sempre paura che sentisse freddo, coperto com'era solo da una camiciola smanicata, lo portavo con me alla messa di mezzanotte. Quando tornavo a casa , dopo averlo religiosamente baciato, lo ponevo tra la Madonnina e San Giuseppe. Ogni volta mi commuovevo e dicevo al volto un po' invecchiato dal tempo della Mamma Celeste “Ti ho portato il Bambinello, è nato. E' tuo!”
Il giorno di Natale era la..... Festa!
A tavola tutta la famiglia era riunita: nonni, zii, cugini e anche i vicini se erano soli! A casa mia c'era posto per tutti! Non era un problema stringerci di più per fare spazio ad un ospite improvviso!
Si mangiava in allegria, ogni famiglia portava qualcosa e la tavola era ricca di ogni ben di Dio.
Non si andava nei ristoranti a festeggiare, era la festa della famiglia e cosa importante gli anziani non erano relegati in un angolo come uno scomodo mobile, oh no! Erano il fulcro intorno a cui ruotavano tutti perché detentori di saggezza, storia, affetto e rispetto.
Alla fine del pranzo, in fretta si sparecchiava, il cibo rimasto veniva diviso tra le famiglie, i piatti lavati in fretta e poi iniziava la “Tombolata”.
Partecipavano tutti, spesso le cartelline non bastavano, eravamo proprio tanti, alcune le avevamo in comune. Papà, il capofamiglia, anche in questo caso aveva lo “scettro del potere” rappresentato dal cartellone. Si dividevano le lenticchie, se ne facevano mucchietti, servivano per segnare i numeri estratti, ricordo i premi: 10 lire l'ambo, 20 lire il terno e così via fino alle 500 lire per il tombolone!
Somma agognata da tutti noi bambini!
I numeri estratti venivano spesso ripetuti a voce alta perché regolamene c'era il più piccolo della compagnia che muovendosi aveva spostato tutte le lenticchie dalle cartellette.....
Se mi concentro risento le risate, i rimbrotti, i canti e... rivedo i volti di chi non c'è più!
Mi manca il mio Natale, mi manca l'affetto dispensato e ricevuto, la tradizione e la spiritualità, la condivisione reale.
Mi manca l'amore che aleggiava.... nel mio NATALE!
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