Ogni giorno,
stessa ora, pioggia, sole, vento, caldo afoso, Don Peppe era lì seduto, al
tavolino del bar di Antonio Scafato, a bere il caffè.
Che faceva?
Nulla, osservava, aspettava.
A guardarlo
attentamente nessuno riusciva a dargli un’età definita. Il volto non aveva
rughe, due baffetti sottili sotto il naso adunco, gli occhi scuri, quasi una
fessura, erano incorniciati da lunghe ciglia nere. Stava fermo, immobile, solo gli occhi erano vividi.
Beveva il caffè, lo sorseggiava lentamente, quasi voluttuosamente poi, con un
semplice cenno della mano magra, chiamava il cameriere, pagava il conto e
continuava a star seduto, apparentemente senza far nulla, fino all’imbrunire.
Alle ventuno in punto si alzava, si sistemava la coppola
in testa e andava via. Era sempre
molto elegante, anche se gli abiti erano vetusti per foggia, eppure gli davano
un’aurea di eternità. In inverno sedeva all’interno del bar, proprio vicino
alla grande finestra, sul tavolino la tazzina col caffè, un quotidiano
spiegazzato dinanzi, lo sguardo sempre rivolto alla piazza antistante, al
minimo movimento esterno, fossero auto, bici o pedoni, lo sguardo ne era subito
catturato.
Il bar di
Antonio Scafato, sorgeva proprio nella piazza principale di Milazzo. Il sole
estivo era attutito da un gazebo blu e bianco. I tavolini all’esterno erano solo
cinque, puntualmente occupati; non solo da adulti che amavano oziare ma anche dai
ragazzi, specialmente sul far della sera. I più giovani si riunivano,
chattavano ai telefonini, si scambiavano battute su ragazze e sport, gustavano
una bella granita al caffè o al limone, erano le più buone, tutto questo fino a
notte fonda, quando Don Antonio, perentoriamente, li mandava via. Frequentava
regolarmente il bar, un gruppetto di anziani: Don Giuseppe il calzolaio,
Francesco il barbiere, Nino il netturbino e Franco, nullafacente da una vita. Dal
momento della pensione, quello era il luogo di riunione. Giocavano a carte,
scopa e briscola le specialità. Avevano invitato Don Peppe ad unirsi alle
partite, lui rifiutava sempre.
Certo in molti
si erano chiesti perché stesse lì seduto, le congetture si sprecavano ….
“E’ un
capomafia! -avevano sentenziato-meglio lasciarlo stare!” “E’ rimbambito, chissà
che pensa! …No, no, è un nobile in esilio volontario!”
Don Peppe sapeva
benissimo di essere oggetto di discussioni ma, non gliene importava nulla, il
proprio posto era su quella sedia, in quel bar, tutti i santi giorni, era
questione di vitale importanza.
Ogni sera
tornava a casa, stancamente. I piedi li trascinava sul selciato, l’ attesa e la
delusione gli maceravano il corpo e l’anima. Una volta giunto alla propria
dimora, una bella palazzina proprio in fondo alla via Garibaldi, entrava e si segnava
con la Croce, con occhi umidi volgeva una preghiera al Padreterno perché
l’indomani portasse ciò che sperava da cinquant’anni.
Don Peppe era
stato un giovane bellissimo, nato nel 1921 a Milazzo, aveva partecipato alla II
Guerra Mondiale. Aveva visto la sua amata Patria devastata dai bombardamenti,
aveva salutato lo sbarco americano in Sicilia come un evento divino che avrebbe
portato pace.
Proprio durante
la guerra si era innamorato follemente.
Lei era bella,
ma così bella, almeno ai propri occhi, da pensare che fosse una Madonna.
Alta, magra, i
capelli neri e ricci le incorniciavano il volto michelangiolesco. Si erano
incontrati a Trento, lei era una partigiana e portava notizie ai patrioti
nascosti tra le montagne. Pedalava da mattina a sera, i forti polpacci ne erano
la testimonianza. Non aveva paura di nulla. Con la scusa di andare dalla nonna che
abitava in una zona remota, oltre la periferia di Trento, metteva nel cestino
qualche tozzo di pane, un po’ di legna, qualche patata e nel doppio fondo di vimini
nascondeva i biglietti da portare ai partigiani. Non l’avevano mai scoperta,
anche se, una volta, un soldato tedesco le aveva gettato a terra quel misero cibo,
intimandole di tornare a casa se non voleva guai. Era intervenuto proprio Peppe
ad aiutarla e consolandola l’aveva scortata al sicuro tra le mura domestiche. Lui
combatteva accanto ai tedeschi, in quel periodo nostri alleati. L’incontro con
Lara era stato un colpo di fulmine. Si erano innamorati e promesso eterno
amore. Le vicende della vita li avevano allontanati ma una promessa era una
promessa, si sarebbero rincontrati e avrebbero coronato il loro amore. Il luogo
sarebbe stato la Sicilia, a Milazzo, e lui, costi quel che costi, aveva
continuato a sperare.
Era finita la
guerra, l’Italia era libera e solo sporadiche lettere li tenevano ancora uniti.
Lara era andata in America, Peppe a Torino, ambedue per lavoro ma la promessa
di rivedersi non era mai stata cancellata.
Tornato in
Sicilia, erano gli anni ’60, aveva aperto un’attività come meccanico, mestiere
imparato durante la guerra. Le lettere si erano diradate fino a scomparire del
tutto. Gli amici comuni non avevano notizie di Lara. Rassegnato alla perdita, si
era sposato, di Lara più nulla. Era diventato padre di due maschi, Antonio e
Francesco. Era rimasto vedovo molto presto. Il suo era stato un matrimonio tranquillo,
Ada era una brava donna ma, la passione per Lara, non si era mai sopita. A
volte, lo sapeva, era sbagliato, mentre aveva tra le braccia Ada, il pensiero
correva alla donna che lo aveva stregato ancora ragazzo, inesperto amante, che
aveva scoperto le gioie dell’amplesso proprio grazie a lei.
Ormai anziano,
seduto al bar, con il caffè che scorreva caldo nella bocca, pensava a Lara. Al
profumo che emanava quel corpo acerbo, alle labbra carnose, passionali, proprio
ardenti come il caffè che beveva, nonostante il medico gli avesse consigliato
quello d’ orzo a causa dell’età.
Lui non ne
voleva sapere, era quella calda bevanda, seduto al tavolino di un bar, a
fargliela sentire accanto.
Il tempo
scorreva come le pagine di un libro sfogliate troppo in fretta dal vento di
scirocco, che spesso imperversava nella zona.
Don Peppe la
mattina sbrigava le faccende in casa, quelle più leggere, alle altre ci pensava
Lucia la vicina di casa che gli teneva anche compagnia.
La donna aveva
un figlio, Carlo di diciotto anni, un bravo ragazzo, ma come tutti i suoi coetanei,troppo
preso da gioco, sport e ragazze, alla scuola poca importanza. In un giorno di
pioggia intensa, Carlo aveva accompagnato la madre da Don Peppe e, conoscendone
le strane abitudini, non seppe resistere alla tentazione di chiedere…
“Don Peppe, so
che non dovrei, mia madre “m’ha fatto una testa tanta”, ma io non ci riesco a stare muto. Perché il
pomeriggio si siede al bar e aspetta? Perché è chiaro che aspetta qualcuno. Non
parla con nessuno, non vuole giocare a carte con gli altri. Se uno si avvicina
sembra infastidito. Allora?”
“Un poco invadente?
Forse di più... Però sei un bravo giovane e magari è arrivato il tempo per
parlare. A te lo voglio dire. E’ un segreto, avvicinati - e sussurrando come se
stesse svelando un importante e inconfessato evento nazionale- aspetto Lara. Lei
verrà. Me l’ha promesso!” Rispose Don Peppe con voce roca.
Iniziò così a
raccontargli dell’amore provato durante la guerra, rivisse nel racconto la
propria passione, la paura, il desiderio e l’attesa. Terminò con gli occhi
lucidi “Ti raccomando è un fatto personale, giurami che non lo dirai a
nessuno!”
“Senta Don
Peppe, la posso aiutare. Non deve più essere un segreto! Mi dica il nome e il
cognome, la data di nascita, insomma tutte le notizie che ha, con Face book
gliela trovo. Aspetti un momento, torno subito!” E senza aspettare risposta corse
a casa, prese il computer portatile e, tornato accanto a Don Peppe, spiegò come
“le diavolerie moderne” aiutavano nella ricerca di persone lontane e potendo
così avere le informazioni necessarie.
Da quel giorno
iniziò un connubio incredibile tra Don Peppe e il giovane Carlo. L’appuntamento
era al bar, tra un caffè e una squisita granita, il tempo scorreva.
La gente
passando li guardava e si chiedeva “Cos’ hanno in comune un ragazzino come
Carlo e Don Peppe? E poi di cosa parlano così fitto fitto?”
Il ragazzo
cercava ogni piccola notizia riguardante la famosa Lara, spronava Don Peppe
perché tornassero alla memoria particolari su particolari: vie, cognomi,
amicizie, città e parenti. Era uno scambio incredibile: da un lato la memoria storica,
dall’altro internet e tutte le migliaia di
interconnessioni possibili. Trascorse l’estate e arrivò l’autunno con
preannunci invernali impensabili per la soleggiata Sicilia. Don Peppe ora
sedeva all’interno del bar, solito tavolino e , nella mano un po’ malferma, la
tazzina di caffè.
Carlo non
demordeva, ormai per lui Don Peppe era il nonno che non aveva mai conosciuto e
voleva ritrovare, o almeno conoscere che fine avesse fatto di quell’amore
perduto. Era diventata una questione di principio. All’insaputa dell’anziano, aveva
coinvolto anche i propri amici: Luigi, Giuliano, Nicola, addirittura
quest’ultimo, compagno di scuola, aveva lanciato un appello su twitter, per
ritrovare la donna.
Non solo,
la ricerca si era fatta nazionale:
google plus, Face book, alcuni giornali online, tutti avevano adottato
l’appello fatto da Carlo “Aiutiamo il signor Peppe a ritrovare l’amore di
gioventù. La donna si chiama Lara….conosciuta
durante la II guerra mondiale…ecc e seguivano le indicazioni più importanti.”
Ogni giorno,
alle diciassette in punto, Carlo varcava la soglia del bar di Antonio Scafato,
il portatile sotto il braccio e Don Peppe ad aspettare.
L’incontro aveva
ormai assunto un carattere familiare, Carlo lo baciava sulle guance, chiedeva
notizie sulla sua salute, Don Peppe s’informava della scuola, delle amicizie,
dei compiti e, per ultima, la domanda sospesa. A volte non era necessario neppure
chiedere, erano gli occhi che parlavano.
“Don Peppe,
vedrà, ci vuole pazienza e tenacia, ma io la ritroverò!”
Il tempo passava, ma di novità ve ne erano davvero poche. Tanti
falsi avvistamenti che Carlo neppure raccontava a Don Peppe. In realtà lo
teneva all’oscuro su molte notizie, non voleva illuderlo inutilmente. Gli anni
trascorsi erano davvero tanti, inoltre si era accorto che Don Peppe non era più
arzillo come prima, sembrava, e magari lo era davvero, più stanco, affaticato.
Provava molta pena nel vederlo seduto, in attesa, al solito tavolino, gli occhi
attenti a scrutare l’orizzonte.
…E il tempo
passava, l’inverno era arrivato, gli alberi avvizziti dal freddo artigliavano
il cielo avaro di sole. Don Peppe sembrava essersi rimpicciolito nel caldo
cappotto, a fargli compagnia i sentimenti altalenanti tra emozioni e speranze, il
bar e il caffè. Ultimamente poi, faceva fatica ad attraversare la piazza e
sedersi al posto usuale, era come se le illusioni si affievolissero insieme
alle forze, neppure la signora Lucia riusciva a trattenerlo in casa.
Alle sue
proteste rispondeva “Non posso, devo esserci, fino all’ultimo respiro,
altrimenti la mia vita sarebbe stata inutile, il mio desiderio vano, l’attesa
un fallimento!”
Era la vigilia
di Natale, faceva freddo a Milazzo, non era caduta la neve solo perché troppo
vicina al mare. Don Peppe era come sempre al bar, tutto infagottato, non
riusciva a stare in casa, se lei poi fosse venuta come lo avrebbe potuto ritrovare?
Carlo, quel
giorno, tardava ad arrivare.
L’uomo era nervoso, il ragazzo non mancava mai
all’appuntamento giornaliero. Se gli fosse accaduto qualcosa, ne sarebbe morto.
Negli ultimi tempi lo aveva avuto vicino più dei veri figli, troppo presi da
impegni personali. Non aveva neppure il numero del cellulare di Carlo. “Che stupido
essere amici, rifletteva, se non riusciva a rintracciarlo … e poi, si poteva
definire così un rapporto di ricerca tra un vecchio e un ragazzo? Forse sì,
erano amici perché lui gli aveva aperto il proprio cuore e ne aveva condiviso
le speranze e le attese, ma non aveva nemmeno un numero telefonico! Al prossimo
incontro glielo avrebbe chiesto, anzi di più, si sarebbe fatto accompagnare
proprio da Carlo per comprare un cellulare, insomma doveva modernizzarsi.”.
Così perso nelle proprie elucubrazioni, le
ombre della sera si allungavano sempre più sulla piazza, avvolgendo tutto di
una coltre scura, le imposte delle case erano ormai chiuse, come palpebre
abbassate su occhi stanchi che si arrendevano al sonno. Don Peppe si guardava
attorno, gli avventori al bar erano davvero pochi, pensò che avrebbe atteso ancora un’oretta, poi
sarebbe tornato a casa. Il cuore gli pesava, era come un macigno, aveva tanto
sperato, le “diavolerie moderne” non avevano fatto il miracolo. Un improvviso
pensiero, come una stilettata gli pervase l’essere “Forse lei era morta … “ Un
singhiozzo, suo malgrado, si palesò. Si guardò attorno, non era solito mostrare
cedimenti.
Se realmente fosse stato così allora era
meglio non sapere, meglio continuare a sperare, la morte lo avrebbe colto senza
il dolore struggente della perdita ma solo con la dolcezza dei ricordi.
Nel frattempo, nel
locale, la tv accesa blaterava di neve e ricorrenze, le pubblicità natalizie
erano inframmezzate dalle canzoni augurali. Quando …
“Don Peppe che
fa, s’addormenta a quest’ora?”
La cara voce di
Carlo lo allontanò dai pensieri. E’ vero si era appisolato, gli ci volle un po’
per mettere a fuoco il volto del ragazzo ma … non era solo. Accanto vi era una
signora un po’ curva, i capelli argentei, un sorriso commosso che le aleggiava
sul volto.
“Lara? Sei n
proprio tu, Lara!”
Era come un
grido che nasceva dal profondo del petto, causato dagli anni vissuti
nell’attesa, dai sogni ricorrenti in cui la amava profondamente con tutto se
stesso, dal desiderio struggente di riabbracciarla, anche e solo per un ultimo
saluto. Era lei ne era certo, il tempo aveva inciso le proprie unghiate sulla sua
pelle, lasciandone le impronte, i capelli che lui ricordava folti e arruffati
dai riccioli, erano più radi, solcati da ciocche candide, ma gli occhi erano i
suoi, il sorriso era quello di tanti anni fa, quando l’amore era appena
sbocciato.
Lei sussurrò
“Peppe, mio caro, amato Peppe, quanto tempo!”
Si ritrovarono
abbracciati, i volti vicini, le lacrime che si confondevano con i sorrisi. Non
avevano bisogno di parole, ci sarebbe stato tempo. Si guardavano intensamente negli
occhi, in quegli sguardi il presente era lontano, il passato magicamente
presente. Erano nuovamente due ragazzi che si riscoprivano innamorati a
discapito del tempo, della lontananza, degli avvenimenti. Il cuore non ha età,
i sentimenti, quando sono veri, restano immutati.
Nel bar i pochi
avventori guardavano la scena ammutoliti.
Carlo tirava su
col naso, si vergognava a farsi prendere dall’emozione ma, quell’amore
ritrovato, era davvero sublime.
Si sedette in un
angolo appartato del locale, aprì il portatile e sulla propria pagina Face book
digitò “Grazie a voi amici, Peppe e Lara si sono ritrovati. L’amore vero non ha
scadenza, non ha tempo, non ha spazio, è eterno. Un ringraziamento speciale va
a Gianpiero che mi ha fornito, da Milano, le coordinate giuste!”.
Chiuse il
computer e rivolto al barista “Don Antonio me lo fa un caffè?”
“Carlo offre la
casa, è un vero piacere, anche se ancora non ho capito bene la situazione. Poi
me la spiegherai, di una cosa però sono più che certo: Viva l’amore!”.
Furtivamente si
asciugò la lacrima che gli rigava il volto, tirò su col naso, proprio lui uomo
rude e forte che nel bar aveva visto, e inconsapevolmente vissuto, le vicende
degli avventori. Voltando le spalle alla coppia, preparò non uno ma due ottimi
caffè, sentiva il bisogno di una sferzata di vita.
Di sottecchi li
guardò, erano sicuramente avanti negli anni, ma incredibilmente giovani nei
sentimenti, ne provò invidia. Bevve il forte e caldo caffè pensando alla
propria donna. Una volta tornato a casa l’avrebbe abbracciata, non lo faceva da
qualche tempo, le avrebbe sussurrato parole rinchiuse e inaridite nei cassetti
della memoria, l’avrebbe amata come se fosse stato l’ultimo giorno di vita
sulla terra.
Don Peppe gli
aveva dimostrato che i sentimenti non sono scontati, vanno coltivati, cercati,
protetti.
Davvero, dopo
tanto tempo, non vedeva l’ora di chiudere il bar e tornare a casa!
FINE