Cammino
per le strade affollate, non mi guardo intorno, non vedo nulla, penso, rifletto.
Stamattina
su face book ritrovo quella foto, la mia foto, la nostra foto.
Chi
l’ha postata? Chi si nasconde dietro lo pseudonimo: Giackiè?
Come
ogni giorno, mi sono alzata prestissimo e con un caffè in mano, il portatile
sulle gambe, ho iniziato a “navigare” su internet.
Prima
le ultime notizie dal mondo: Ucraina, Tunisia, politica, sì il solito bailamme,
quindi posta elettronica e per ultima la mia bacheca fb.
Noto,
tra i vari post, la foto.
Il
cuore inizia a battere a mille, le mani sudano e gli occhi mi si riempiono di
lacrime.
I
ricordi mi prendono alla gola, sono come onde di marea montante, mi sento
travolgere.
Chiudo
il portatile poi, lo riapro, salvo la foto e la stampo.
Adesso
per la strada ho quel pezzetto di carta in fondo alla tasca, lo stropiccio tra
le dita, lo appiano, è come se potesse darmi la chiave per sapere.
La
giornata in ufficio non passa mai, incombenze, seccature e arrabbiature si
susseguono. All’ora di pranzo, alla mensa, mi metto in disparte, riprendo il
foglietto e mangiucchio distratta un toast.
Osservo
attentamente quella piccola foto in bianco e nero, noi due che ci baciamo
incuranti di tutto, anche della scala mobile che ci riporta al piano terra. Ricordo come fosse ieri, quel bacio nato
all’improvviso e Giulio che mi sussurra “Non ti lascerò più. Sei il mio
universo. Dopo la laurea ti sposerò, mio amore!”
Davvero
toccai il cielo con il dito. Ci eravamo conosciuti a Torino, io dal profondo
sud mi ero trasferita al nord per studiare. La prima della mia famiglia a
lasciare la casa paterna, iscrivermi all’università, facoltà ingegneria. I
nonni preoccupati e allo stesso tempo orgogliosi della nipote istruita. Ero
sicuramente la più studiosa della famiglia. Sempre ottimi voti e dopo la
maturità conseguita, con il massimo della valutazione, insieme alla mia amica
del cuore Giusy, era iniziata l’avventura accademica a Torino.
Avevo
trovato lavoro presso il bar accanto all’Università. Ci andavo solo la sera,
dalle diciannove alle ventiquattro e, proprio tra i fumi del locale, una volta
si poteva tranquillamente fumare all’interno, caffè e stuzzichini, avevo
incontrato Giulio, il mio primo amore.
In
realtà mi era venuto in soccorso, un avventore del locale, un po’ alticcio, mi
aveva importunato e lui mi aveva difeso.
Era
iniziata così, Giulio che veniva regolarmente al locale, prima per un caffè,
poi a poco a poco, tra una chiacchiera e l’altra, mi aspettava fino alla fine
del mio turno e mi riaccompagnava a casa. Era un amore pulito, non solo perché
nasceva da sentimenti veri ma anche per il modo con cui si affermava. Senza
fretta, con calma, quasi pacatezza, dopo due mesi mi aveva conquistato.
Il
suono del cellulare mi riporta alla realtà. Guardo il numero, non lo conosco ma
rispondo “Pronto chi parla?”
Nulla,
solo l’incessante suono della comunicazione interrotta. Mi sento gelare il
sangue. Chi mi può odiare così da riaprire vecchie ferite che neppure il tempo
è riuscito a rimarginare?
Torno
al lavoro, il pomeriggio passa lentamente, è anche colpa dei pensieri
assillanti che non mi danno tregua. Alle diciotto termino, stancamente mi avvio
verso casa. Per la prima volta ho paura, mi guardo continuamente alle spalle
mentre percorro le vie conosciute.
Il
foglietto con la foto è ancora in tasca, dove l’ho relegata. Ho quasi timore di
toccarla, come se potesse ridare vita ai fantasmi.
Cammino
rasentando i muri, giunta al mio portone lo apro nervosamente e mi richiudo la
porta alle spalle. Mi appoggio all’uscio, serrandolo mi illudo di lasciar fuori
i fantasmi del passato.
Vivo
sola, l’esperienza mi ha inaridito il cuore.
Tolgo
velocemente il cappotto, lo getto sul divano, apro il mio portatile e accedo
alla mia pagina fb.La foto è nella bacheca e un solo “mi piace” campeggia
proprio sopra la didascalia “Ricordi?”
E
come potrei non ricordare, in tutti gli anni trascorsi ho ancora dinanzi agli
occhi la scena che cambiò la mia vita, per sempre.
Era
luglio, esattamente il 16 luglio del
1981, un giorno assolato. Non ero tornata a casa dai miei , dovevo ancora
sostenere un esame prima della chiusura estiva. Giulio mi aveva fissato
appuntamento proprio al centro
commerciale. Mi aveva abbracciato, poi mi aveva regalato un costume, un
castigato due pezzi,. Lo avevo scelto io, azzurro come il mare. Come i suoi
occhi ridenti. Avevamo gironzolato un po’, proprio
sulla scala mobile ,in quel periodo breve, eppure intenso, con un bacio mi
aveva giurato eterno amore.
Un
fotografo, ai piedi della scala, scattava foto e poi le vendeva. Eravamo
accanto a lui, proprio nel momento in cui Giulio stava per pagare quell’
inaspettato scatto fotografico, quando all’improvviso, quell’uomo dietro di
noi, si era avventato contro,facendoci
cadere. Aveva iniziato a tempestare di pugni Giulio, fino a mandarlo a terra
esamine.
Io
urlavo chiedendo aiuto, era accorso un vigilante e col fotografo, avevano
afferrato alle braccia quel bruto dalle nocche insanguinate. Poi, non so più
nulla. Mi ritrovai in ospedale, i miei genitori accanto, Giulio morto.
Tornai
a casa, abbandonai Torino, gli studi, tutto. Dopo mesi e mesi di apatia,
ritornai lentamente alla vita.
Quella
foto mi riportava indietro, prepotentemente, dolorosamente. Mi ero sempre
sentita colpevole per la morte del mio uomo, per questo non avevo voluto nessun
altro accanto, convinta che portassi la
morte a chi mi avrebbe amato. ….
Mi
scrollo dai pensieri. Facendomi forza
digito sotto il messaggio “Incontriamoci”
La
risposta arriva immediata, come se lo sconosciuto fosse appostato alle mie
spalle. “Domani a pranzo al centro commerciale, vicino alla scala mobile” Nient’
altro.
Ci
sarò, lo so. Non posso esimermi dal sapere.
Un
po’ ho paura, anche se il centro commerciale del mio paese non è quello dove
avvenne la tragedia.
La
notte è insonne. Giulio mi balza alla memoria, i suoi baci, gli abbracci, le
carezze, i suoi mille modi per farmi sentire amata. L’alba mi trova sveglia,
gli occhi segnati da profonde occhiaie bluastre.
Mi
alzo, è sabato, non devo lavorare. Pigramente
sorseggio il caffè che ho preparato. Non ho voglia di far nulla se non
aspettare l’ora dell’appuntamento.
Gironzolo
negligentemente per casa, leggo o meglio sfoglio un giornale, guardo distrattamente
la TV che ho acceso e poi, finalmente, mi preparo per l’incontro.
Indosso
jeans, maglietta e un cardigan leggero. Non mi trucco neppure, non ho voglia, è
come se andassi a una veglia funebre.
Il centro
commerciale non è lontano, vado a piedi. Entro con un certo timore, c’è molta
gente indaffarata, mi avvio alla scala mobile.
Sono
le dodici e un braccio afferra il mio gomito: uno sconosciuto mi dice “Ciao”,
non lo conosco, lo guardo attentamente poi, uno spiraglio apre la mia mente. E’
invecchiato, non male direi, il suo sguardo è però velato di tristezza.
“Ciao,
ripete, sono il fotografo di quel maledetto giorno!.”
Mi
sento mancare, gentilmente mi porta al bar e mi costringe a sedere.
“Scusa,
ma era l’unico modo per darti la foto che vi scattai tanti anni fa. L’avevate
anche pagata. Sapessi quanto ti ho cercata. E’ stata la padrona del bar dove
lavoravi a darmi alcune indicazioni. Ma non bastavano. Tre giorni fa, navigando
su face book ho visto la tua immagine.”
E’
lui che continua a parlare, io sono attanagliata dal dolore dei ricordi.
“Quante volte mi sono
detto che se non vi avessi scattato la
foto, magari il tuo ragazzo sarebbe ancora vivo! Il dubbio mi ha lacerato. Dovevo rincontrarti per parlarti, guardarti negli
occhi, essere perdonato!” Termina. Mi osserva intensamente mentre mi mette in mano
l’originale della foto. Non so cosa dire, la prendo, la bacio, una lacrima scorre e la vela
come un sudario. Con la mano accarezzo quel volto stanco. Mi alzo e vado via. Non trovo
parole per assolverlo
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