Vorrei un Natale diverso
con luci soffuse,
suoni ovattati,
colori meno sfavillanti.
Vorrei un Natale del cuore,
una rinascita sentita,
vissuta,
compresa.
Vorrei una comunione d'intenti,
tutti uniti per migliorare,
non bianco, non nero, non giallo,
solo uomini vicini nell'azione.
Vorrei un Natale di condivisione,
spartizione di beni ed affetti
dove nessuno è solo
tutti sono felici!
mercoledì 21 dicembre 2011
martedì 20 dicembre 2011
Di notte
Quando Orfeo non bussa alla mia notte,
la veglia s'impossessa del mio spirito,
i pensieri sono ali di farfalla
volteggiano nel mio essere.
Onde di marea montante
m' invadono l' anima..
Ricordi si affollano,
bussano per palesarsi...
Del mio vissuto
immagini si susseguono..
sono lente quelle della gioia
le assaporo, le rivivo,
sono afflato d' amore.
I giorni di dolore
li riavvolgo in tutta fretta,
la lancinante tristezza,
mi dilania l'anima.
Lacrime salate
violentano le palpebre,
vogliono scorrere,
non le libero, le rinchiudo!
Richiamo con muto urlo Orfeo,
lo prego di cullami nelle sue spire,
la mente si quieta
...ritorna il dolce oblio.
la veglia s'impossessa del mio spirito,
i pensieri sono ali di farfalla
volteggiano nel mio essere.
Onde di marea montante
m' invadono l' anima..
Ricordi si affollano,
bussano per palesarsi...
Del mio vissuto
immagini si susseguono..
sono lente quelle della gioia
le assaporo, le rivivo,
sono afflato d' amore.
I giorni di dolore
li riavvolgo in tutta fretta,
la lancinante tristezza,
mi dilania l'anima.
Lacrime salate
violentano le palpebre,
vogliono scorrere,
non le libero, le rinchiudo!
Richiamo con muto urlo Orfeo,
lo prego di cullami nelle sue spire,
la mente si quieta
...ritorna il dolce oblio.
domenica 18 dicembre 2011
Come fiori dal fango
Piovve , piovve tanto...
il fango invase le strade.
Nulla era esente dal grigio colore,
ovunque si udivano i gemiti e il dolore
per ciò che andava perduto
spazzato da un muro vischioso.
Il sole apparve tra nere nuvole
una lama di luce
mise a fuoco la devastazione.
Sguardi persi,
disperati osservavano,
si interrogavano sul domani poi..
Poi apparvero loro
gli angeli del fango.
Braccia giovani e vigorose
aiutarono, pulirono, salvarono, consolarono!
Erano i fiori che il fango aveva partorito!
Grazie!
il fango invase le strade.
Nulla era esente dal grigio colore,
ovunque si udivano i gemiti e il dolore
per ciò che andava perduto
spazzato da un muro vischioso.
Il sole apparve tra nere nuvole
una lama di luce
mise a fuoco la devastazione.
Sguardi persi,
disperati osservavano,
si interrogavano sul domani poi..
Poi apparvero loro
gli angeli del fango.
Braccia giovani e vigorose
aiutarono, pulirono, salvarono, consolarono!
Erano i fiori che il fango aveva partorito!
Grazie!
giovedì 15 dicembre 2011
A mio figlio
Giovane uomo cammini per la tua strada,
guardi con occhi nuovi e curiosi il mondo,
spii sul volto degli altri
il tuo essere vivo.
Giovane uomo con passo sicuro
scegli la via da percorrere.
Come scudo la giovane età,
la tua lancia l'entusiamo,
come un novello principe
uccidi il drago che ostacola i tuoi sogni.
Ti ricorderai dei miei abbracci,
delle mie carezze, dei miei baci?
Del mio confortarti nelle cadute,
del mio proteggerti contro il male?
Avrai ancora sentore delle mie mani
che ti aiutavano a rialzarti?
Nella tua assenza
una sola certezza mi consola
l'essere sempre nel tuo cuore.
guardi con occhi nuovi e curiosi il mondo,
spii sul volto degli altri
il tuo essere vivo.
Giovane uomo con passo sicuro
scegli la via da percorrere.
Come scudo la giovane età,
la tua lancia l'entusiamo,
come un novello principe
uccidi il drago che ostacola i tuoi sogni.
Ti ricorderai dei miei abbracci,
delle mie carezze, dei miei baci?
Del mio confortarti nelle cadute,
del mio proteggerti contro il male?
Avrai ancora sentore delle mie mani
che ti aiutavano a rialzarti?
Nella tua assenza
una sola certezza mi consola
l'essere sempre nel tuo cuore.
E VENNE ..
E venne il giorno
in cui te ne andasti
senza voltarti indietro,
t' incamminasti rigido,sicuro,
i tuoi piedi non fallivano la via..
Io c'ero,
spiavo dietro una cortina di lacrime,
aspettavo....
aspettavo un tuo ultimo sguardo
per leggervi un barlume d'affetto,
di riconoscenza,
di nostalgia...
forse d'amore.
E venne il tempo dell' attesa...
Attesa di un ritorno, di un saluto, di un messaggio,
di un sospiro, di un rimpianto.
E venne il tempo della speranza..
Speranza di un amore, di un ricreduto affetto.,
di un bisogno di vedermi, di stringermi ancora a te..
E venne il tempo dell' oblio...
oblio di ricordi, di foto in bianco e nero
che raccontavano inutilmente una vita.
E venne il tempo della morte...
La morte dei sensi, dei sentimenti...
la morte del cuore!
in cui te ne andasti
senza voltarti indietro,
t' incamminasti rigido,sicuro,
i tuoi piedi non fallivano la via..
Io c'ero,
spiavo dietro una cortina di lacrime,
aspettavo....
aspettavo un tuo ultimo sguardo
per leggervi un barlume d'affetto,
di riconoscenza,
di nostalgia...
forse d'amore.
E venne il tempo dell' attesa...
Attesa di un ritorno, di un saluto, di un messaggio,
di un sospiro, di un rimpianto.
E venne il tempo della speranza..
Speranza di un amore, di un ricreduto affetto.,
di un bisogno di vedermi, di stringermi ancora a te..
E venne il tempo dell' oblio...
oblio di ricordi, di foto in bianco e nero
che raccontavano inutilmente una vita.
E venne il tempo della morte...
La morte dei sensi, dei sentimenti...
la morte del cuore!
mercoledì 30 novembre 2011
Garibaldi a Milazzo
Era una calda sera d’estate ed ero seduta sui gradini antichi di Santa Maria Maggiore, storica la chiesa non solo per virtù religiose ma legata com’era all’eroico Garibaldi che qui si riposò dopo atavica impresa, la sera del 20 luglio 1860. Non so cosa mi prese, ma accomodatami dove egli posò le membra, me lo rividi accanto. Era come lo avevo sempre immaginato, camicia rossa un po’ stazzonata, alti stivali in cuoio in cui erano infilati i calzoni. Lo sguardo era stanco, il capello indomito, la barba incolta, con voce possente mi chiese “ Sono a Milazzo?”
Riuscii a rispondere solo abbassando il capo e lui “Mi pare cambiata, confusione, luci, locali … Non mi ci trovo! La prima volta che venni, rumore di spari e nugoli di polvere mi accolsero, nell’aria vi era un profumo di gelsomini che mi riempivano le narici. Il mare era calmo e le onde s’infrangevano sulla breve spiaggia con una cadenza sempre uguale, sembravano ritmare lo scorrere del tempo. E quelle luci lungo la costa, cosa sono, accampamenti?”.
Riuscii a trovare le parole e dissi “Oh no! E’ il progresso, è una raffineria!”
“Non so cosa sia, ai miei tempi non c’era, lo sguardo spaziava indisturbato fino all’orizzonte.” Si soffermò pensieroso, poi riprese “Avrei un po’ di fame. Allora mangiai pane e formaggio, avean un sapore... Solo a pensarci mi viene l’acquolina! Che … me ne daresti ancora?“
“Non vorreste un bel piatto di pasta con le sarde o delle melanzane all’agrodolce? Come le prepara mia madre non le sa fare nessuno!”
“ No, no, voglio ritrovare quel sapore!” Mi rispose energico.
Gli feci cenno di aspettare e corsi alla bottega ...
Chiesi “ Un bel pane di grano di Montalbano e una grossa fetta di pecorino ragusano, una buona bottiglia di “ Nero d’Avola”. Presto ...Ho un ospite che mi aspetta!”
Il bottegaio mi guardò sorpreso, non si era mai sentito pasteggiare a formaggio e pane! Su mia insistenza me li diede, pagai, uscii affrettando il passo …
In cuor mio temevo che scomparisse un si tal personaggio.
Lo ritrovai seduto dove l’avevo lasciato, lo sguardo incredulo dinanzi a tanta modernità.
Aprii l’involto e posi la carta sui gradini, a mo’ di tovaglia. Assaggiò, sembrava un po’ deluso … poi si fermò.
Mi disse “ Non ha il gusto di una volta! Manca la tensione per la battaglia, il dolore della perdita, il sudore della fatica, il riposo dopo l’ impegno, il cuore soddisfatto per l’impresa, l’anelito di trovare e dare libertà. Manca il sapore della conquista. Quella mia cena allora, aveva tutto questo, ciò che assaggio ora è senza storia!”
Così dicendo si sottrasse al mio sguardo. Scomparve all’improvviso.
Rimasi sola su quei gradini, non proferii parola. Che cosa avrei potuto dire dinanzi a tanta verità: ciò che si ottiene col sacrificio ha un sapore diverso … contiene dignità!
Il paese di Roz
Il paese di Roz, si trova in luogo molto lontano, ai confini dell'orizzonte, non è facile raggiungerlo.
Nel paese di Roz il tempo è sempre perfetto, piove se i prati hanno bisogno d'acqua, c'è il sole se le mamme devono far asciugare i panni all'aperto, c'è vento, ma di quelli gentili, se i bimbi devono far volare gli aquiloni, c'è la neve se bisogna divertirsi con gli slittini.
Il sindaco di Roz, è anche un mago, di quelli che non farebbero male neppure ad una mosca conosce perfettamente i desideri dei suoi paesani..
Nel paese di Roz non c'è cattiveria, gli abitanti sono buoni perché sono felici.
Tutti lavorano, secondo le proprie capacità e talenti, le mamme raramente sgridano i figli e i papà li vedi giocare con loro, quando non sono occupati.
La scuola si chiama “La scuola della gioia”, perché gli alunni sono sempre felici di frequentarla, si impara tutto, senza rimproveri o noia. I maestri, sono gentili con tutti.
La bidella è una allegra signora che prepara i biscotti alla nocciola e al cioccolato e li offre durante la ricreazione..
A scuola i bambini parlano una lingua comune, quella del rispetto e dell'amore per la conoscenza.
Le vacanze, gli abitanti di Roz, le trascorrono nel proprio paese perché è il più bello del mondo.
Vive in questo luogo incantato una vecchina simpaticissima, si chiama Enz, lavora tanto a maglia, i suoi lavori sono veramente speciali.
Si racconta che un giorno andò a trovarla una giovane donna...
“Signora Enz posso entrare, ho proprio bisogno di lei”.
“Certo cara Luci entra pure, accomodati, dimmi”.
E la vecchina sedendosi accanto alla finestra, da dove poteva vedere il suo giardino fiorito, le fece segno di sedersi sulla poltrona accanto a lei.
“Cara signora ho nel cuore un grande dispiacere, non ho figli, sono sposata da tanto tempo, ne desidero uno con tutto il cuore
“Cara Luci, ti preparerò con i ferri un piccolo cappello da neonato, tu tienilo sempre vicino al tuo cuore, vedrai che il tuo desiderio si avvererà”.
La vecchina preparò un cappellino bianco, piccolo e soffice, Luci lo ebbe dopo pochi giorni. Da quel momento lo tenne sempre con sé e un bellissimo giorno si accorse di aspettare un bimbo.
Dopo nove mesi nacque Aria e la felicità di Luci fu completa.
La notizia del prodigio si sparse in tutto il paese e anche oltre, dalla vecchina Enz andava tanta gente, lei ascoltava tutti i desideri, poi si metteva al lavoro e, cosa strana,i sogni si avveravano.
TOZ
Un brutto giorno però.....
Dalla cara e magica vecchina si recò uno straniero, non era di Roz, indossava un vecchio cappotto nero, lungo fino ai piedi, in testa aveva un cappellaccio dello stesso colore, occhiali scuri gli coprivano completamente il volto.
Bussò alla porta della vecchina che, come al solito, era seduta sulla poltrona accanto alla finestra.
Quella mattina aveva avuto una premonizione, si sentiva strana, le mani le tremavano e durante la notte un incubo l'aveva terrorizzata.
Aveva sognato di essere prigioniera in un castello tetro e freddo, lei cercava invano i suoi magici ferri da maglia per poter lavorare ma, inspiegabilmente, non riusciva a trovarli.
Senza di essi si sentiva disperata perché non poteva aiutare chi aveva bisogno di lei.
Una guardia, inoltre, l'aveva spinta in una stanzetta buia e fredda, ridendo sguaiatamente aveva chiuso la porta a chiave e le aveva gridato “Resterai chiusa in questa stanza fino alla morte!”
Si era svegliata sudata e disperata e adesso... questa visita
inaspettata!
Come al solito la signora Enz disse “Entra pure, la porta aperta!”
Quello strano personaggio entrò e si avvicinò alla vecchina, era enorme e straordinariamente pauroso.
“Cosa vuole da me!” urlò la signora Enz ma ad un tratto si sentì senza forze, chiuse gli occhi e venne avvolta da un fumo denso.
Si sentì trasportata in un luogo lontano, era inconsapevole del proprio corpo, le sembrava di fluttuare nell'aria, avvertiva che qualcosa di strano le stava accadendo, ma non riusciva a contrastare quelle forze oscure.
Ad un tratto si accorse che qualcosa era cambiato; aprì piano piano , prima un occhio poi anche l'altro. Si trovava in una stanza in penombra ed era distesa su di un letto, le persiane erano socchiuse e una luce livida filtrava tra le imposte, permettendole di mettere a fuoco la stanza.
La signora Enz si girò sul fianco destro con cautela, aveva paura di essersi fatta male durante il trasporto, si toccò le gambe e le braccia, sembrava tutto a posto, ma la cosa strana era che la consistenza dei suoi muscoli era cambiata, non era più magra e scarnita, come naturalmente avviene nelle persone anziane, ma i suoi arti erano sodi. Il cuore iniziò a batterle velocemente, si mise a sedere e si accorse che non le faceva
male la schiena, come ormai avveniva da alcuni anni.
Anzi si era messa a sedere con una agilità che lei ormai non ricordava di avere. Doveva farsi forza, si alzò dal letto e altra cosa strana, era dritta come un fuso, l'abito che prima le arrivava alle caviglie adesso le copriva appena le ginocchia.
Prima aprì le imposte e poi si avvicinò allo specchio.
Meraviglia, il volto che si specchiava non era quello solito della vecchina Enz, con le sue sagge rughe, ma era quello di una giovane e bella ragazza che aveva la pelle liscia e lucente, le labbra rosse e carnose con i denti perfetti e bianchi, dei folti capelli neri ma, gli occhi, avevano una consapevolezza e una profondità che solo la gentile signora Enz possedeva.
Cosa le era successo? Chi era si chiese, quel losco signore che era andata a trovarla a Toz, l'aveva rapita e condotta in quella lugubre casa? Avesse avuto almeno i suoi magici ferri! “L'importante, si disse, è restare tranquilla, aspettare che qualcuno entri nella stanza per chiedere spiegazioni”.
Così pensando si rimise a letto.
A ROZ
A Roz, si erano accorti della sua scomparsa e il sindaco, signor From, aveva indetto una riunione a cui dovevano partecipare tutti gli abitanti, in modo da decidere su cosa fare ma soprattutto bisognava raccogliere tutte le segnalazioni possibili.
“Cari concittadini, la situazione è grave. Per la prima volta nel nostro paese è scomparsa una persona, da due giorni non abbiamo notizie della signora Enz, chi di voi avesse qualche informazione è pregato di comunicarla immediatamente!”
“Io ho visto un signore con un mantello nero camminare per la strada vicino alla mia casa” disse Pao.
“A me un uomo con gli occhiali neri mi ha chiesto se conoscevo
una vecchina che lavorava a maglia, ma sono scappato e non gli ho risposto!” intervenne Liuc un bimbo di otto anni.
“Invece io ho detto che non conoscevo nessuna signora Enz” disse la bidella” con quegli occhiali neri non mi convinceva”.
“Cari amici, per caso l'uomo di cui parliamo era molto alto?” chiese il sindaco.
“Si” risposero all'unisono.
“La situazione è grave. Quell'uomo è lo stregone Toz, sarà difficile rintracciarlo, comunque faremo di tutto per riportare tra noi la cara Enz. Tornate a casa vi faremo sapere”.
Tra un brusio generale la riunione si sciolse.
La cosa strana è che l'atmosfera a Roz era improvvisamente cambiata. I genitori tenevano i bambini per mano e non li lasciavamo soli neppure un momento, il sole sembrava meno luminoso, nuvole scure erano pronte all'orizzonte a coprire il cielo, la bidella non aveva più voglia di preparare biscotti e anche gli insegnanti erano incupiti, i bambini malinconici, non erano abituati alla tristezza. Nel frattempo...
ENZ…RAPITA!
Enz si era messa comoda nel letto rimuginando sul da farsi, ad un tratto...
“Permesso, signora sono la cameriera ho l'ordine di accompagnarvi nel salone”.
Queste parole erano state pronunciate da una gatta di proporzioni più grandi del solito, camminava sulle zampe posteriori, in testa aveva una crestina inamidata bianca ed un grembiule dello stesso colore, accompagnò le parole con un inchino, Enz sobbalzò alla sua vista, la sua gatta era sicuramente normale, non come questa, ma facendo buon viso a cattivo gioco, si alzò dal letto e la seguì.
Avanzarono in un oscuro corridoio, lungo e freddo sul quale si affacciavano numerose stanze chiuse da enormi porte che sembravano blindate. Dietro di esse si sentivano gemiti e richieste di aiuto, un brivido di paura scosse Enz ma, imperterrita, continuò a camminare fino a quando giunsero in un grande salone. Era illuminato da migliaia di candele appese ai muri in pietra, in fondo alla stanza vi era un baldacchino che dal bagliore che emanava era sicuramente d'oro, entrando la gatta-cameriera si era inchinata e continuava a camminare con il muso che quasi toccava terra.
Fece segno ad Enz di fare altrettanto, ma la giovane donna con atto di sfida, a grandi passi raggiunse il trono e gridò “ Come ti permetti di tenermi prigioniera in questo posto orrendo! Chi sei, cosa vuoi da me? Riportami a casa, a Roz hanno bisogno di me!”
Un ruggito spaventoso uscì dalla gola di quell'uomo “Come osi parlarmi con questo tono! Abbassati fino a terra, io sono il signore di queste terre, ho potere di vita e di morte su tutti gli esseri viventi, anche su di te, chiedi scusa se non vuoi morire fra mille tormenti!”.
Enz per nulla intimorita “Io non ti appartengo tu sei solo un mostro, non ti chiederò mai scusa, puoi anche uccidermi, ma non ti conviene visto che sicuramente hai bisogno di me, se mi hai rapito!”.
“Hai la lingua tagliente ma saprò renderti mansueta, sei in mio potere! Gatta riportala nella sua stanza!”
A questo ordine l'animale spinse Enz, per nulla intimorita, fuori dal salone e la riportò nella sua stanza.
Qui trovò un cesto di vimini con della frutta fresca, prese una succosa pesca e la mangiò avidamente, sbucciò anche una banana e bevve da una brocca di cristallo dell'acqua fresca,
Si coricò nel letto e si addormentò.
Ben presto sognò il suo amato paese, rivide la sua casa, le strade, gli amici che aveva aiutato con i suoi magici lavori, poi cadde in un sonno senza sogni.
FROM IL SINDACO
A Roz intanto il sindaco si era chiuso nel suo ufficio, aveva tirato le tende e acceso un lume antico che con una flebile luce illuminava una sfera di cristallo situata sulla scrivania.
From la prese tra le mani e la riscaldò strofinandola sulla manica della sua giacca, a poco a poco la sfera cambiò colore da trasparente si fece gialla, poi rossa. Infine all'interno apparve una enorme bocca che sussurrò ”Cosa vuoi mio padrone?”
“Caro amico Rem, dal mio paese è scomparsa la magica vecchina Enz, sai dove si trova?”
“È una situazione grave, lo stregone Toz l'ha rapita e portata ai confini del mondo, nel suo maledetto castello di Mom.
Difficile sarà riportarla a casa, deve essere Enz a trovare il modo di fuggire utilizzando i suoi magici lavori. Ti consiglio però, di tenere sempre acceso un grande falò in piazza, così quando la prigioniera riuscirà a fuggire vedendo i bagliori delle fiamme troverà la strada di casa.”
Così dicendo l'enorme bocca svanì poco alla volta e la sfera riprese la sua normale trasparenza.
From la posò con cautela sulla scrivania, riaprì le tende e chiamò il suo fedele amico Gen raccontandogli tutto quello che aveva saputo. Insieme andarono nella piazza principale del paese, raccolsero tanta legna e accesero un bel falò.
Chiamarono a raccolta tutti gli abitanti del paese e, senza specificare il perché, non volevano spaventarli, dissero loro che era assolutamente necessario tenere acceso il fuoco giorno e notte, si sarebbero approntati dei turni allo scopo, ciò era importante per riportare a casa la signora EnzIntanto un vento freddo e bizzoso aveva iniziato a soffiare su Roz. Cercava in tutti i modi di spegnere il falò, gli uomini allora costruirono un paravento con delle canne per ostacolare i refoli di vento.
Iniziò così l'attesa...
ENZ A MOM
Passò la notte e la mattina dopo, appena sveglia,la signora Enz iniziò a smontare il cestino della frutta, voleva costruire dei ferri da maglia, le erano necessari per le sue magiche realizzazioni.
Mentre lavorava stava attenta ad ogni piccolo rumore, appena avvertiva uno scalpiccio fuori dalla stanza, subito si interrompeva, si stendeva sul letto, chiudeva gli occhi e faceva finta di dormire.
Dopo svariate interruzioni riuscì a creare due ferri da calza abbastanza verosimili, li nascose sotto il materasso. Adesso doveva procurarsi del filo da lavorare. Si guardò intorno e si accorse che la coperta del suo letto era di lana. La prese, se la rigirò fra le dita e trovò il filo d'inizio e piano, piano, facendo molta attenzione iniziò a sfilarla. Ogni piccolo rumore la faceva sobbalzare, per cui immediatamente smetteva e stava ad ascoltare. Ad un certo punto entrò la gatta-cameriera che le portò del latte con i biscotti annunciandole che l'indomani avrebbe dovuto presentarsi al suo padrone Toz per importanti comunicazioni.
Quando se ne andò riprese a sfilare la coperta di lana. Si era fatto ormai tardi, Enz bevve il latte, si mise a letto e dormì. Sognò ancora una volta il suo paese, ma non era quel luogo felice e sereno che lei ricordava, la pioggia e il vento erano incessanti e i suoi cari paesani sentivano tanto la sua mancanza.
Nel paese di Roz la vita continuava anche se tutto era cambiato, il sole non si vedeva ormai da giorni ed effettivamente, come aveva sognato Enz, la pioggia e il vento erano quotidiani.
I paesani continuavano, tra le difficoltà, a mantenere acceso il falò.
L’indomani nel castello....
“Gatta porta qui la signora Enz, ho bisogno di lei! Subito!”.
La povera gatta-cameriera chiese alla prigioniera di fare presto, era inutile far attendere il padrone anzi, era controproducente perché quando si arrabbiava era capace di uccidere con le proprie mani chi gli capitava vicino, Enz a queste parole si affrettò a darsi una sistemata ai capelli e all'abito e seguì l'inserviente.
Come la prima volta, ripercorsero il corridoio sempre più buio e freddo e giunsero nel salone, lo stregone era anche più terrorizzante del solito, dalla bocca fuorusciva della bava e gli occhi erano iniettati dal sangue. Enz avanzando verso di lui si accorse che era sofferente, qualcosa lo faceva stare male, ma cos'era si chiese. Oh se avesse avuto i suoi magici ferri avrebbe potuto risolvere la questione.
“Perché mi ha fatto venire qui?” chiese con voce tremante Enz.
“La tua fama ha varcato i confini del mondo, tutti parlano delle tue creazioni e io ho bisogno di te. Voglio che il mio castello risuoni di gioia, di felicità, voglio che il sole faccia capolino tra le finestre, voglio sentire risa di bimbi, ma tutti si allontanano da me. Aiutami ad essere felice!”.
Queste parole sbalordirono Enz, dov'era finita l'arroganza, la prepotenza, la cattiveria, aveva dinanzi un povero essere infelice che invece desiderava essere come gli abitanti di Roz.
“Posso avvicinarmi?” chiese Enz, al suo cenno di assenso lo fece e timidamente avvicinò la sua mano, alquanto tremante, al petto di Toz, voleva ascoltare il suo cuore, sentire se era sincero.
Ma si accorse di non sentire alcun battito, il mostro non aveva cuore!
Tastò il possente petto, ma non sentiva nulla, guardò interrogativamente Toz “Ma il tuo cuore dov'è?”.
“È stato trasformato in pietra quando ero piccolo, perché così, non avrei sofferto. Invece ora mi accorgo di sentirne la mancanza, di desiderare il suo battito, di voler soffrire o gioire come tutti! Aiutami, ti lascerò libera se esaudirai i miei desideri”.
“Per aiutarti devo avere i miei ferri da calza e della lana colorata”.
“Li avrai al più presto. Grazie!”.
Gatta-cameriera non credeva alle sue orecchie, grazie, non aveva mai sentito pronunciare questa parola al proprio padrone.
Enz, tornando alla sua stanza si sentiva più tranquilla, forse non tutto era perduto.
Immediatamente, appena fu sola, prese i ferri dal nascondiglio, il gomitolo di filo che si era procurata e iniziò a lavorare, in poco tempo realizzò un piccolo cuore, il problema ora era darglielo e poggiarglielo sul petto, ma la cosa più importante era una sola: Toz voleva davvero cambiare?
In realtà lo stregone rideva divertito, avrebbe scoperto il segreto di Enz, lo avrebbe fatto suo, poi….l’avrebbe potuta uccidere con tranquillità.
Altro che sincero!!!
GATTA-CAMERIERA
Enz decise di chiedere aiuto alla gatta-cameriera, non appena fosse entrata nella stanza. Nel frattempo avrebbe sfilato ancora la coperta, voleva realizzare un sole, forse così avrebbe rischiarato quell'ambiente così tetro e freddo.
Lavorò per un numero indefinito di ore, fino a quando sentì arrivare la gatta-cameriera.
“Cara gatta ho bisogno del tuo aiuto, mi racconti la storia del tuo padrone? Solo così riuscirò ad aiutarlo”.
“Non so se faccio bene a parlarti, non dovrei dirti nulla, facendolo rischio la vita, ma voglio aiutarti. Forse tu sei l'unica speranza che ho per cambiare la mia situazione.
Toz, il mio padrone, non è stato sempre così. So che da piccolo era un bambino come tutti gli altri, amato dai genitori e dai sudditi. Un brutto giorno il paese di Mom venne invaso dai nemici del re e Toz rapito. I genitori si rivolsero a maghi e stregoni per ritrovarlo. Solo uno, Set, riuscì a farlo ma, in cambio, volle il paese di Mom e lo trasformò in un luogo pieno di rabbia e dolore; inoltre trasformò il cuore di Toz in pietra, rendendolo così, insensibile a tutto. Pensa che fu lui ad imprigionare i genitori in una segreta del castello, i lamenti che senti nel corridoio sono dei prigionieri che si trovano dietro quelle porte ormai murate da anni. Io stessa sono stata catturata dalle guardie di Toz, la mia casa è a Frat, tutti gli abitanti sono felini intelligenti e parlanti, ho una famiglia di cui non so più nulla. Se il mio padrone volesse veramente tornare felice forse, mi lascerebbe libera!”
“Forse posso aiutarti. Non so se credere alla sincerità di Toz, alla sua richiesta d'aiuto, comunque ho realizzato questo cuore. Cucilo nella parte interna della maglia che di solito indossa, speriamo che funzioni. Poi incolla questo sole sul vetro della finestra più alta del castello. Devi farmi un altro favore: procurami della lana bianca, verde, gialla, bastano pochi gomitoli, l'ho chiesta al tuo padrone, sono passati alcuni giorni inutilmente, non credo che mi accontenterà.”
“Spero di poter fare ciò che mi chiedi, ora mangia“ e così dicendo si nascose sotto il grembiule i lavori fatti da Enz e andò via.
PASSANO I GIORNI A ROZ E MOM
A Roz gli abitanti erano sempre più incupiti, continuavano a tenere acceso il falò, ma i giorni passavano senza notizie positive.
La disperazione, che non avevano mai conosciuto, cominciava a farsi strada con degli episodi di intolleranza tra i cittadini. Era scoppiata una rissa fra alcune persone che si incolpavano a vicenda di non essere pronti per i turni al fuoco.
Anche a Mom non c'erano cambiamenti evidenti, la gatta-cameriera aveva fatto tutto quello che le era stato chiesto, Enz però non aveva perso la speranza. Di nascosto aveva realizzato dei fiori con la lana colorata, che gatta-cameriera le aveva procurato di nascosto, quel giorno era decisa a donarli a Toz, che non l'aveva più chiamata. Chiese quindi di essere accompagnata da lui,doveva parlargli, era importante.
Così si ritrovò nel gelido salone, Toz era anche più furioso del solito per essere stato disturbato, accolse Enz in malo modo ma lei non si scompose e si avvicinò.
“Ho preparato dei doni per te”, disse porgendogli i fiori di maglia, “guarda che colori, immagina la tua reggia colorata, chiudi gli occhi, pensa come ti sentiresti sollevato, se potessi sentirti amato, benvoluto da tutti”.
La voce calma e suadente sembrò tranquillizzare Toz che effettivamente chiuse gli occhi, Enz così si avvicinò e posò la sua mano dove doveva trovarsi il cuore di lana. Improvvisamente una luce si diffuse sul petto di Toz che, dapprima sorpreso, aprì gli occhi poi, a poco a poco, un sorriso aleggiò sul suo volto. Dalla sorpresa l'espressione passò alla beatitudine e finalmente la sua bocca si aprì in una fragorosa risata.
Nel salone un raggio di sole entrò illuminandolo, tutto sembrava cambiato, Enz si sentiva senza forze e si accasciò a terra.
Si risvegliò nel letto della sua camera la gatta-cameriera era accanto a lei, con le lacrime agli occhi le chiese “Sono riuscita a renderlo felice?”
“Si cara tutti i nostri desideri si sono realizzati, ora è tempo che torni a Roz, ti aiuterà Toz, ti aspetta”.
Enz si alzò prontamente, baciò la gatta-cameriera e andò nel corridoio dove l'attendeva lo stregone Toz. Era effettivamente cambiato, il volto disteso, premuroso, attento e soprattutto il corridoio era pieno di persone indaffarate che parlavano, scherzavano, correvano..
“Vieni Enz, ti riporto a casa, grazie”.
FINALMENTE A CASA
Come la volta precedente avvolse Enz nel mantello facendole perdere i sensi.
Toz ed Enz fluttuavano nel tempo e nello spazio quando seguendo un filo di fumo che si faceva sempre più intenso raggiunsero Roz e la casa della vecchina. Lo stregone la pose sul letto, la baciò con gratitudine e lasciò sul comodino una pietra a forma di cuore e svanì.
Enz aprì faticosamente gli occhi, temeva di essere ancora a Mom ma non era così.
Era nella sua adorata casa, fra i suoi oggetti però si accorse con una punta di rammarico che la sua giovinezza non c'era più, era tornata ad essere la deliziosa vecchietta.
Non importava ora non le restava che annunciare a tutti il suo ritorno, era importante. Con lei sarebbe tornata la felicità a Roz.
Voltandosi vide sul comodino il cuore di pietra, lo prese e si accorse che non era freddo ma tiepido, l'amore e la gioia erano tornati anche per Toz.
E gatta-cameriera fece ritorno a Frat ?..
Questa è un’altra storia…..
Il mio Natale
Ho nostalgia del mio Natale, una festa sincera dove il denaro era davvero poco. Tutto si svolgeva nel massimo della semplicità e spiritualità. Sicuramente sembrerò ovvia e nostalgica ma il Natale degli anni sessanta aveva un altro sapore, davvero!
Il giorno dell' Immacolta, otto dicembre, mia mamma prendeva in cantina le vecchie decorazioni e un alberello finto, un po' spennacchiato che aveva l'aspetto del poverello che doveva essere rivestito per apparire bello.
Era un' attesa spasmodica.
Per noi bambini aprire i vecchi scatoloni e rivedere, dopo un anno, gli addobbi era un rito.
Ogni volta mi sembravano bellissimi, pur non essendo decorati come quelli di oggi. Erano di vetro, lucidi e lisci, la plastica non aveva invaso il mercato. Erano tutti gingilli tondi, di tutte le misure ma solo rigorosamente tondi, io mi ci specchiavo. Ricordo che mamma ogni anno li riponeva con religiosa cura avvolgendoli uno per uno nella carta velina, non andavano rotti, tutto veniva riusato!
Le luminarie non avevano giochi di luci ma solo una intermittenza che però, davanti ai miei occhi di bambina, sembrava magia.
Rammento la gioia che provavo nel rivestire il vecchio alberello che da spoglio diventava sontuoso con tutto il suo carico di ricordi...Di ogni addobbo mia madre ricordava la storia ed era bellissimo ascoltarla anche perché era sempre arricchita da aneddoti nuovi, veri o falsi non so, sicuramente rendevano unico l'alberello di Natale.
Un altro rito importante della mia infanzia era la preparazione del Presepe.
Si iniziava con la raccolta della “sparracina”, una pianta che oggi, con tutti gli ibridi presenti nelle serre, sembra scomparsa.
Questo arbusto produceva delle bacche verdi che mature diventavano rosse, era abbastanza “capricciosa”. Fornita di spine non era facile toccarla o tenerla in mano.
La raccoglievo nel giardino della fattoria della zia Venera. Ne facevo un bel fascio che poi mia madre provvedeva a intrecciare per farne un semicerchio che veniva posto, come un cielo, sopra il presepe.
Alla sparracina venivano legati i mandarini e, avendoli, anche quelli piccoli cinesi a mò di lampadari. Ancora oggi se chiudo gli occhi ne rivedo la particolarità e ne risento il profumo. Nessun presepe per quanto bello e sontuoso, ricco di automatismi e statue perfette, sarà mai bello come quello della mia tradizione siciliana.
Alla base del presepe mettevo il muschio che regolarmente bagnavo e le pietruzze bianche per segnare le stradine da conducevano alla Sacra Famiglia.
Tocco finale i pastori.....sicuramente non erano belli e perfetti come quelli di plastica ma avevano anche loro.... un vissuto.
Le mie statuine erano di terracotta, alcune scolorite, altre con il braccio rotto, il naso smussato, spesso non stavano in piedi a lungo, a causa del deterioramento naturale del materiale ma per me, per noi bambini, erano bellissime perché intrise di storia. Alcune erano appartenute ai miei nonni che me ne avevano fatto dono. Ricordo che avevo sei Re Magi, mi ostinavo a metterli tutti perché ero convinta che tutti dovevano far parte del mio presepe, nessuno escluso. Come potevo mettere da parte una statuina rispetto ad un'altra se dovevano partecipare alla nascita di Gesù!
Ricordo che il Bambinello con le sue braccine rivolte al cielo, veniva posto nella paglia solo la notte di Natale. Lo toglievo dal cassetto del mio comodino, lo mettevo nella tasca del mio cappottino, avvolto in una pezzuola, avevo sempre paura che sentisse freddo, coperto com'era solo da una camiciola smanicata, lo portavo con me alla messa di mezzanotte. Quando tornavo a casa , dopo averlo religiosamente baciato, lo ponevo tra la Madonnina e San Giuseppe. Ogni volta mi commuovevo e dicevo al volto un po' invecchiato dal tempo della Mamma Celeste “Ti ho portato il Bambinello, è nato. E' tuo!”
Il giorno di Natale era la..... Festa!
A tavola tutta la famiglia era riunita: nonni, zii, cugini e anche i vicini se erano soli! A casa mia c'era posto per tutti! Non era un problema stringerci di più per fare spazio ad un ospite improvviso!
Si mangiava in allegria, ogni famiglia portava qualcosa e la tavola era ricca di ogni ben di Dio.
Non si andava nei ristoranti a festeggiare, era la festa della famiglia e cosa importante gli anziani non erano relegati in un angolo come uno scomodo mobile, oh no! Erano il fulcro intorno a cui ruotavano tutti perché detentori di saggezza, storia, affetto e rispetto.
Alla fine del pranzo, in fretta si sparecchiava, il cibo rimasto veniva diviso tra le famiglie, i piatti lavati in fretta e poi iniziava la “Tombolata”.
Partecipavano tutti, spesso le cartelline non bastavano, eravamo proprio tanti, alcune le avevamo in comune. Papà, il capofamiglia, anche in questo caso aveva lo “scettro del potere” rappresentato dal cartellone. Si dividevano le lenticchie, se ne facevano mucchietti, servivano per segnare i numeri estratti, ricordo i premi: 10 lire l'ambo, 20 lire il terno e così via fino alle 500 lire per il tombolone!
Somma agognata da tutti noi bambini!
I numeri estratti venivano spesso ripetuti a voce alta perché regolamene c'era il più piccolo della compagnia che muovendosi aveva spostato tutte le lenticchie dalle cartellette.....
Se mi concentro risento le risate, i rimbrotti, i canti e... rivedo i volti di chi non c'è più!
Mi manca il mio Natale, mi manca l'affetto dispensato e ricevuto, la tradizione e la spiritualità, la condivisione reale.
Mi manca l'amore che aleggiava.... nel mio NATALE!
venerdì 4 novembre 2011
GIULIA
“Giulia alzati è ora di andare a scuola!” siamo alle solite, la mattina non c’è verso di svegliare la mia bambina di sette anni.
Mi affaccio sulla porta della sua camera e la osservo con il cuore intenerito: si gira e si rigira nel letto, tenta affannosamente di aprire gli occhi ma, le palpebre sembrano incollate, si stiracchia nel letto e come un gatto inarca il corpo. Sembra non volersi allontanare dal suo incantato mondo fatto di sogni, dove la realtà è lasciata sulla soglia ad aspettare il risveglio. I capelli sono sparsi sul cuscino e le fanno da aureola bruna. Nella stanza aleggia il suo profumo di bimba che sa di borotalco e calore.
“Mamy, non ce la faccio!” mugugna
Mi avvicino al suo letto e inizio a farle il solletico poi, la faccio rotolare sulle coperte, con un gioco che sempre ripeteva mia madre, al mattino: “Crisci pasta, crisci pastuni comu facia lo nostru Signuri ‘nto pasciuni!” e, come per incanto, il tempo si annulla e mi rivedo piccina.
E’ vero tutto scorre, passa, si alternano le stagioni, lo spazio si allunga e diviene orizzonte ma, i ricordi, avvicinano le età andate come uno yo-yo che si fa srotolare e arrotolare per gioco.
“Dai Giulia, amore, non è giusto arrivare in ritardo a scuola, dai ho preparato la colazione!!!”
La piccina, che è anche golosa, si mette a sedere sul letto ed improvvisamente ritrova le forze, e in un batter d’occhio, sbriga tutte le incombenze che la riguardano.
La guardo con malcelato orgoglio materno e con gli occhi del cuore me la immagino signorinella alle prese con le prime cotte e delusioni. Chissà se si confiderà ancora, così come fa oggi. Non mi nasconde nulla, i voti, i rimproveri, i bisticci con i compagni, il suo cuore è un libro aperto in cui posso leggere le pagine della sua breve vita
E’ vero, breve vita, ma così intensa che è come se avesse cento anni, invece di sette, per esperienza, dolori ed affanni, che una bimba non
dovrebbe assolutamente conoscere.
Se torno indietro con la memoria e le emozioni, tutto mi scorre dinanzi agli occhi, come un film da vedere e rivedere per poter assaporare il presente……
…“Tesoro sono incinta!” A queste parole mio marito Flavio rispose prima con sorpresa e poi con uno sguardo innamorato dove si leggeva l’orgoglio dell’avvenuta fecondazione, credo che si sentisse, in quel momento, un supereroe perché poteva generare la vita.
Al ricordo ancora mi commuovo, sembravamo camminare sulla classica nuvoletta rosa, laddove non puoi inciampare perché non vi sono ostacoli, ma tutto scorre serenamente.
Ricordo ancora che comprammo una buona bottiglia di vino e festeggiammo felici la nostra famiglia in crescita.
Mai come allora ebbi accanto un marito affettuoso, attento ai desideri, credo che se avessi chiesto la luna avrebbe fatto di tutto per accontentarmi.
Felici giorni fatti di passione contenuta, per non danneggiare il nostro bimbo! Giorni pieni di amore palpabile ed evidente. Mi bastava guardare Flavio per scorgere un sentimento profondo, grato, intenso. Ecco le emozioni non sono in bianco e nero, quando portano gioia, ma sono colorate.
Non vedi la bruttura che ti può stare accanto, scorgi solo il bello e il bene, tutto ti arride perché ti senti in pace con te stessa e gli altri.
Purtroppo la dura realtà ben presto ci svegliò.
Alla seconda ecografia la sentenza: il feto presentava una grave
malformazione cardiaca, non sarebbe sopravvissuto, a lungo, dopo la nascita.
Era consigliabile abortire!
A me spettava la decisione.
Ma come potevo decidere della vita del mio bambino! La disperazione ti coglie all’improvviso, “Che diritto ho di stabilire cosa ne sarà di questo figlio” mi chiedevo ossessivamente. Uscimmo dallo studio medico inebetiti, un dolore opprimente non ci permetteva di parlare, ci tenevamo per mano come una sorta di ancora di salvezza a cui aggrapparci, la mia forza era la forza di Flavio e viceversa.
Sembravamo ubriachi senza meta ma, soprattutto, la disperazione non ti permetteva di connettere.
La mente annebbiata, gli occhi che non riuscivano a mettere a fuoco ciò che visualizzavano a causa delle lacrime, tutto era avvolto da un intenso fumo che non ti permetteva di razionalizzare gli eventi.
…E poi il cuore, ecco il cuore ti faceva male. Non un semplice dolore fisico, no di più, profondo, intenso, non si allontanava con niente era sempre lì presente e ti suggeriva continuamente il perché di tale sfacelo, ti sussurrava cosa c’ era che non andava, non ti permetteva di allontanarti da quel chiodo fisso che come meridiana segnava il susseguirsi delle ore ma restava sempre ben piantato in profondità.
Quella ferita non stillava sangue ma solo urla il dolore.
Ricordo che tornammo a casa, non so come, Flavio mi diceva: ”Vedrai che tutto si risolverà nel migliore dei modi. Io sono dalla tua parte, qualsiasi decisione prenderai.”
Parole crudeli! La decisione spettava a me: vivere o morire!
Nell’ecografia successiva scoprimmo che era una bimba ed era affetta
dalla Sindrome di Jacobsen.
Purtroppo non era consigliabile neppure l’intervento chirurgico nel periodo neonatale, perché la situazione era grave.
Passavano i giorni in modo angosciante, Flavio consultava medici ed internet, mentre io restavo aggrappata alla speranza che fosse tutto un errore.
Le notti erano insonni, il nervosismo a fior di pelle e inoltre si avvicinava sempre più il giorno in cui la decisione doveva essere presa.
Non dimenticherò mai il momento in cui fui sicura di quello che volevo.
Ero seduta sul divano, come ormai facevo da tempo, avevo tra le mani il fotogramma dell’ultima ecografia. Si distingueva la testolina, due braccine esili e le gambette. Una manina era vicino al viso come se la bimba stesse dormendo e si riparasse gli occhi. Ecco in quel momento decisi, sarebbe nata, avremmo affrontato insieme ciò che sarebbe stato. Chiamai Flavio e gli comunicai la mia decisione, lui mi abbracciò e disse” Non sarà facile, ma con l’aiuto di Dio e dei medici forse ce la faremo.”
Trascorrevo la gravidanza apparentemente serena, per non turbare ulteriormente Flavio, in realtà eravamo disperati, le visite, le analisi, l’amniocentesi, le ecografie non ci davano speranza, la bimba era gravemente cardiopatica. Il ginecologo decise di intervenire all’inizio dell’ottavo mese di gravidanza.
Ricordo ancora quel giorno, ci preparammo e di mattina andammo in
ospedale per il cesareo.
Giulia nacque piccolissima, appena in kilo e trecento grammi, venne intubata e posta in incubatrice.
Non fu un periodo facile, la bimba sembrava vitale, era come se fosse aggrappata alla vita, tenacemente. Il nostro stato d’animo oscillava tra
la disperazione e la speranza.
Dopo appena un mese venne sottoposta da un primo intervento cardiaco, in modo da permetterle di raggiungere un peso ottimale per un eventuale trapianto cardiaco.
Passarono circa sei mesi quando finalmente ce la portammo a casa.
Ricordo ancora quel giorno, la gioia di poterla finalmente avere accanto ma anche la paura che le potesse accadere qualcosa di grave.
Giulia cresceva lentamente, bisognava evitare di farla piangere, inoltre anche il più piccolo raffreddore poteva essere mortale. Non fu facile, quelli furono giorni in bianco e nero, dalla speranza alla paura, una altalena di emozioni che minavano sempre più la nostra fiducia nel futuro.
Giulia aveva dodici mesi, era gracile, il volto pallido, inoltre le mancavano le forze per giocare, gattonare. camminare, a volte anche piangere o ridere.
Poi finalmente la telefonata, un cuore era a disposizione ed era compatibile con la nostra bimba.
Che momenti, che paura, che dolore per la mamma che aveva perso, per un rigurgito, il proprio bimbo di appena sedici mesi, e che, pure nella disperazione, ci aveva teso la mano.
Mi immagino sempre questo gesto di passaggio dal bimbo morto alla mia Giulia, era come se quest’ultimo avesse dato il testimone a mia figlia, la cui vita si stava spegnendo ed era stata riaccesa da questo inatteso regalo.
Non smetterò mai di ringraziare quella madre che mi ha ridato la gioia, la vita, mai come in quei momenti angoscianti, in cui il cuore di mia figlia veniva sostituito, ho smesso di pensare alla generosità di quella donna che nel suo immenso dolore ha saputo donare.
Non so, al suo posto, cosa avrei fatto!
L’operazione andò bene e dopo un lungo periodo di convalescenza Giulia iniziò a “vivere”veramente e pienamente.
Nulla la stancava era come se solo ora avesse finalmente aperto gli
occhi alla vita. Curiosa, insaziabile di vedere e conoscere, di correre, di muoversi, di ridere o piangere, di arrabbiarsi o essere felice.
Tutto quello che per i bambini era normale, per Giulia era un’ assoluta novità.
Sono ormai trascorsi sei anni da quel giorno, di quella meravigliosa e altruista madre non ho saputo più nulla, spero solo che la sua culla abbia avuto altri bimbi, che le sue braccia non siano rimaste vuote, che altri baci e carezze l’abbiano rasserenata, che un’altra bocca abbia pronunciato quei meravigliosi balbettii “ma….mma”.
Io, per merito suo, ho avuto tutto questo.
Spesso, appoggio la mia mano sul cuoricino, che Giulia custodisce nel suo petto…. sussurro piano piano. "Grazie!”
IL MIO SENTIMENTO IN VIAGGIO
Ti guardo, ti osservo, ti amo. Non chiedermi perché, non domandarmi come, non so, i sentimenti sono ali di farfalla, sono carezze di bimbo che lasciano, una volta provati, l'afflato d'amore.
Sono una donna in viaggio con il sentimento.
Lo sai perché? Perché il mio amore è in evoluzione, è come su un treno che si ferma alle stazioni, magari è in ritardo, riparte, riprende, rimane in pausa, sciopera ma poi, sul predellino, pronto alla partenza, lui c'è. Non è confusione, è sentimento che cambia, con gli anni, con la nostra età, con i figli che crescono.
Sei qui accanto a me, dormi serafico. II tuo sonno è sempre stato tranquillo, quando chiudi gli occhi lasci fuori tutto: affanni, difficoltà, preoccupazioni, forse... la famiglia.
Il tuo volto è disteso, la fronte di solito corrugata, in questo stato di quiete non lo è, le membra rilassate, il respiro regolare. Mi piace guardarti quando dormi, sembri più giovane, anche indifeso, non hai ancora alzato le barriere che ti difendono dagli altri. Siamo insieme da tantissimi anni, trentasei, davanti ai tanti amori naufragati, fra gli amici, il nostro è il più longevo.
Non abbiamo una formula magica, semplicemente… siamo cresciuti insieme.
Lo sai che ancora ricordo quando ti ho incontrato per la prima volta? Anzi, quando mi hai fermata per la strada...
Avevi i capelli lunghi e nerissimi, gli occhiali simili a quelli di Al Bano, il volto affilato e il corpo agile e scattante.
“Scusa, mi hai detto, possiamo frequentarci? Mi chiamo Luca!” Così dicendo mi porgesti la mano.
Il mio cuore batteva a mille, ti avevo adocchiato da un pezzo e sapevo che eri un gran “sciupa femmine”. Ma, Dio mio, quanto mi piacevi!
In quell'occasione feci la preziosa e con indifferenza ti dissi “Non credo sia possibile.”
Da quel giorno mi tallonasti regolarmente, eri all'uscita dalla scuola, ti ritrovavo quando ero con le amiche, quando pedalavo in bicicletta, t’incontravo con la macchina nei pressi di casa mia... insomma, ti eri innamorato perdutamente ed... anch’io.
Penso con nostalgia a quel sentimento nascente: ci guardavamo da lontano, tu passavi e ripassavi davanti alla mia casa e quando sentivo il clacson della tua macchina, mi affacciavo alla finestra ... ed ero felice. Bastava il tuo sguardo, il tuo sorriso, il tuo esserci.
In quel periodo eravamo sempre più magri, l'amore ci consumava, letteralmente.
Al primo nostro bacio, feci l'esperta ma, in realtà, il mio primo vero bacio lo diedi a te.
Se chiudo gli occhi, a distanza di tanti anni, riassaporo la tempesta di sensi che mi provocasti. Fu come entrare in un vortice in cui io, non esistevo, c'eravamo noi, solo noi, le nostre bocche unite in un’esplorazione così sensuale e profonda da superare qualsiasi attesa.
Ed io m’innamoravo sempre più.
Ho conservato il tuo primo regalo. Il quarantacinque giri in vinile di Mal, “Pensiero d'amore”. Lo ascoltavo e riascoltavo continuamente, chiudevo gli occhi e sentivo il tuo respiro sul mio, il tuo cuore che palpitava solo per me. Erano gli anni '70, per noi donne non era facile abbandonarci, accantonare divieti e paure. Per noi i sentimenti potevano reggere anche su una passione soffocata, nei limiti della rispettabilità. Quanta differenza con gli amori vissuti dai giovani di oggi, spesso c'è prima il sesso poi, forse, l'amore.
Non sono puritana, credo che oggi manchi l'attesa.
La voglia di scoprirsi poco alla volta, il desiderio di immaginare prima ancora di vivere.
Non voglio giudicare ma, i ragazzi, non sembrano più felici di come lo eravamo noi, quando desideravamo e non potevamo, quando sognavamo e aspettavamo tra, baci rubati e carezze proibite e genitori all'erta come cani segugi, pronti a difendere la verginità filiale...
In quel periodo il sentimento che ci univa era fatto di desiderio, mai completamente appagato, reale voglia di condividere la scoperta dei propri corpi. Lo sai che spesso t’immaginavo nudo? Io non conoscevo il corpo maschile, il sesso non faceva parte dell'educazione familiare. Tu sei stato il mio mentore, il mio pigmalione. Mi hai fatto scoprire cosa significa essere donna, che ama e sa donarsi, che non prova vergogna, perché donarsi nell'amore e per amore, non comprende tali stati emotivi.
Penso sempre che i sentimenti d'amore vivano degli stadi ben precisi: l'attesa, la scoperta, l'amore condiviso, l'amore vissuto e, ultima tappa del viaggio, l'amore perduto.
Tutte queste fasi sono importanti e, l'ultima, quella più sofferta.
Se la vita è un viaggio, l'amore lo è ancora di più. Non è semplicemente intraprendere una strada da condividere, non è solo il percorso effettuato a fianco a fianco, è proprio come si vive e si percorre tale cammino.
Noi, una volta, ci siamo persi.
Avrei voluto, in quel periodo, aver seminato le pietruzze bianche di Pollicino, perché tu potessi ritrovare subito, la via che ti riportava a me.
Quello fu il periodo dell'amore calpestato, sofferto, sporcato. Ad un bivio ti eri perso, avevi scelto un vicolo senza apparente uscita. Sordo ai richiami, alla mia voce accorata, al buonsenso, indifferente a tutto, preso da un sentimento che ti ottenebrava i sensi e la memoria.
Poi tornasti, il capo coperto di cenere e le mie braccia tormentate pronte a consolarti.
Non fu una vittoria per me, neppure una sconfitta, era solo amore.
Ti curai le inevitabili ferite e insieme riprendemmo il nostro viaggio. Non fu facile, né per te né per me, spesso il tuo sguardo era perso nel vuoto, ancora oggi non so quali rimpianti avessi nell'animo. Mi sentii una crocerossina pronta a battersi per sconfiggere il male che ci aveva intaccato.
Il male è dietro l'angolo, pronto a colpirti a tradimento, veloce nel distruggere quello che hai costruito, con la forza dei sentimenti. Nessuno ne è immune.
L'ho imparato a mie spese.
L'amore è fragile, è come fiammella che si può spegnere al primo alito di vento, sta a te essere pronto a riaccendere lo stoppino, proteggendolo con le unghie e i denti, se ci credi. Io... io ci credevo.
Il male è l'amica che ti sta accanto con falso affetto, è la giovane donna che vede nell'uomo affermato….la potenziale preda, alcune volte vuol solo mettersi alla prova, ma, da quell'atto predatorio, quante sofferenze!
Ho pianto per le bugie neppure mascherate, ho gridato di dolore per le assenze, mi sono graffiata l'anima per fingere normalità dinanzi ai figli, ho urlato in silenzio dinanzi all'abbandono, ho imitato serenità e sicurezza alla presenza degli altri, ho dissimulato forza al tuo ritorno.
E… abbiamo ricominciato il nostro viaggio d'amore.
Lo abbiamo ricostruito, abbiamo ripreso i mattoni della nostra vita e abbiamo eretto una diga contro il male. Ci siamo ritrovati più maturi, sofferti, inevitabilmente cambiati.
Non è stato facile per te ma, ti assicuro, neanche per me. Ora ti guardo dormire, accanto a me, nel nostro letto, che ci ha visto non solo giovani amanti nella scoperta reciproca ma anche, impacciati coniugi che riprendevano ad amarsi.
Lo sai, in quel periodo avevo paura dei confronti? Non credo che tu lo abbia completamente capito.
Spesso gli uomini sono superficiali.
Io mi commisuravo idealmente con l'altra. Chissà come ti amava, cosa ti faceva provare, sarei stata capace di riconquistarti?
Ricordi che non volevo la luce accesa quando facevamo l'amore?
L'età porta segni indelebili sul corpo, le sofferenze dell'anima ti segnano ancor più profondamente, non ero più sicura di poterti ancora allettare con le mie profferte d’amore.
Col tempo ho capito.
Mi amavi di nuovo, nel tuo viaggio di ritorno, mi avevi ritrovato, mi vedevi con gli occhi del sentimento che ci univa, non avevo più paura.
Riprendemmo il cammino, apparentemente sereni.
Sai perché dico apparentemente? I ricordi restano, le cicatrici non vanno mai via, nulla le fa scomparire, restano sempre in un angolino dell'anima, è come un retrogusto amaro in bocca, puoi cercare di mandarlo via con una caramella, un cioccolatino poi, inevitabilmente, ritorna con il suo sapore amaro. In fondo però, è anche utile, ti rende attenta alle sfumature, sei sempre all'erta, perché l'amore ha bisogno di concime, di cure, giorno dopo giorno.
Ti muovi nel sonno, mormori qualcosa, apri gli occhi, mi vedi, mi sorridi.
Allunghi una mano e mi fai una carezza poi, mi avvicini al tuo cuore.
Per un attimo ho rivisto il giovane di tanti anni fa che mi ha stregato col suo fascino, che mi ha fatto scoprire donna appassionata e passionale.
Il nostro viaggio continua, il viaggio della vita accomunato dall'amore.
Un amore più maturo, fatto di quei piccoli gesti, così cari, così nostri. Fatto di amore carnale che, nella passione, contiene sempre il ricordo degli avvenimenti che ci hanno coinvolti.
Ma è pur sempre amore, scandito dal passare degli anni, dal rispetto reciproco, dalle abitudini, dagli sguardi di complicità che non hanno bisogno di parole per capirsi.
Non so cosa ci riserverà il futuro, intanto, il nostro viaggio… col sentimento prosegue!
Dedicato a te, Luca.
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