sabato 1 ottobre 2011

RECENSIONE racconto "Il valore del mio tempo" Accademia "TEMPO VISSUTO"

Il valore del mio tempoIl racconto di Nunziatina Isgrò, Il valore del mio tempo, si aggiudica il terzo posto. Questo racconto ha i colori tenui di un dipinto, ed è a pennellate delicate che danno vita a un personaggio struggente, realistico e coinvolgente.
La protagonista del racconto è una donna che nella sua vita ha fatto molto, visto molto, una donna forte e orgogliosa, che, a causa dell’Alzheimer, vede il lento sfacelo del suo corpo, della sua mente, e del suo passato. La vecchiaia, la malattia, e, ancora, l’incomunicabilità, sono i protagonisti di questo racconto delicato.
I sentimenti che vive l’anziana donna si muovono all’interno di una coscienza ancora viva, attiva, capace di scindere la sua condizione di donna malata, non più autosufficiente, privata per molti aspetti della sua dignità di donna, di essere umano, e la consapevolezza della necessità di queste cure, seppure invadenti, disattente, dirette solo al corpo e dimentiche della sua anima.
Desidero solo una cosa, questo sì, che mi si ricordi non come sono oggi – anche perché per me il presente non esiste –, ma com’ero ieri: madre, moglie, ma soprattutto donna! Sulla mia lapide dovrebbero scrivere: “È stata una grande donna anche quando il corpo avvizziva e la mente vagava.”
Mi piacerebbe davvero. In queste parole c’è la dignità che troppo spesso la malattia mi ha tolto.
Nella sua mente il passato e il presente a volte si sovrappongono, la sua capacità di discernimento gioca brutti scherzi, il suo corpo non risponde più come una volta, nemmeno agli stimoli di base. Eppure, rimane la consapevolezza della sua condizione, lucida e precisa.
Dignità violata, quando mi cambiavano senza chiudere la porta della camera, io che sono sempre stata pudica; dignità infranta, quando mio figlio mi curava le piaghe da decubito e, con indifferenza, le faceva vedere ai parenti per mostrare quanto era stato bravo nel medicarle; dignità infangata, quando raccontavano a chi era venuto a trovarmi che mi ero sporcata perché ormai non avvertivo lo stimolo della defecazione.
Che vergogna ho provato, avrei voluto in quel momento chiudere gli occhi per sempre, scomparire dalla faccia della terra.
Non trovavo giusto che mi trattassero da infante cui si cambiano i pannolini anche davanti agli estranei. Sono una donna adulta, troppo spesso lo dimenticano!
Ecco spesso mancano di delicatezza nei miei confronti, dovrei prendere appunti, scriverlo, per ricordarmi cosa voglio.
Perché l’Alzheimer intacca la mente, il corpo, la memoria, ma non la dignità. A scalfire la dignità ci pensano altri elementi, persino l’amore dispensato male, con disattenzione, allo stesso modo in cui si svolge un compito, un dovere.
Ed è qui che la malattia supplisce, e come se avesse una coscienza propria, difende le macerie che lascia dietro di sé:
Ma questa mia malattia non è solo cattiva, ha anche un aspetto positivo, mi mette al riparo da molte cose. Tra le pieghe della memoria non rimane traccia di assenze, mancanze, di lutti recenti, di sgarbi. Forse soffro meno. Forse…
Un racconto che commuove, che non cade nel facile esito melodrammatico, che si mantiene equilibrato. Una storia comune, che lascia con la sensazione di aver capito qualcosa in più di noi stessi e degli altri ma che, come per la protagonista del racconto, rischia di durare un tempo troppo breve.
Francesca Pavano