lunedì 31 agosto 2015

Vecchia divisa





Un giorno, non so perché,
rovistai in un vecchio armadio
il cui uso il tempo dimenticò.
Al dischiuder delle ante,
l’odor di naftalina e di ricordi
i sensi  m’investì.
Fu come se alla porta del tempo
avessi spalancato la memoria…
Appesa ad una gruccia si mostrava,
di mio padre, la  vecchia divisa .
Afferrai quell’indumento ,
mi accarezzai le guance,
come solevo  far quand’era in vita.
L’ accostai alle labbra e la baciai
ricordando quanto egli  l’amasse.
Lo rividi giovane carabiniere,
che agli occhi di me bimba,
di un supereroe vestiva i panni.                                       
Quell’abito narrava
giorni e notti di lavoro,
fatiche e  doveri, dolori e gioie,
intriso  sempre  di gioventù e  d’ardore
che muovevano i giorni suoi.
Un groppo mi colse alla gola,
una lacrima s’incamminò lungo il volto.
Richiusi quel vecchio armadio
che, come reliquia,
la divisa custodiva.
Peccato, il passato non torna,
sono solo i ricordi che fanno compagnia.




martedì 25 agosto 2015

LE TUE MANI





Mani nodose
Che dell’antica bellezza
Conservano solo il ricordo.
Mani nervose
Incessantemente
 Abituate a muoversi
Per creare
Amore.
Mani segnate
 Da vene sottili
Che denotano
Il tempo che passa.
Mani affettuose
 Che leniscono il dolore
Qualsiasi esso sia.
Mani agognate
Che più non m’accarezzano
 E riposano nell’eterno sonno.
(a mio padre)

La fuga



                                                          
 Vi è mai capitato di desiderare di andar via? Magari non in maniera definitiva,  per sempre, solo per un periodo non troppo lungo. Avere insomma il modo di riamare ciò che lasci. A me si, proprio in questo periodo dell'anno, quando si è stanchi di un inverno freddissimo, piovoso , non c'è mancato niente, perfino l'esondazione di alcuni fiumi della zona, la scuola sul finire con tutte le incombenze di giugno e luglio e poi la ...famiglia!
Provate a vivere con cinque maschi in casa ed io...l'unica donna. Non non sono la regina della casa, nooooh, la governante si!
Adesso ho tra le mani un foglietto con l'immagine di  tre insegne stradali, sono vergate in arabo ed io...sogno.
Sogno la fuga da tutto e tutti.
Mi vedo con un caftano bianco abbagliante, tra i capelli raccolti gioielli che luccicano al sole implacabile del deserto. Naturalmente sono accanto ad un avvenente uomo dal colorito bruno che  tira per la “cavezza”, ehm  le redini, il mio destriero per condurmi nella tenda beduina, in un' oasi che più oasi non si può.
“Mamma, mamma il latte!” urla il mio piccolo di otto anni.
Mi risveglia proprio quando  il principe beduino sta per condurmi nel suo castello...cioè volevo dire tenda beduina, piego  il mio prezioso foglietto dei sogni, lo infilo nella tasca della vestaglia e accontento il bambino.
Ha così inizio l'incubo mattutino: svegliare i figli, tutti con metodologie diverse, il grande con un urlo bestiale, il secondogenito con una carezza e due paroline dolci all'orecchio, il terzogenito togliendo coperte e lenzuola e aprendo implacabile  la finestra. Ora tocca  al marito.
Questa la parte più difficile, appena mi avvicino, lui mi tira a sé e non vorrebbe lasciarmi più, solo che è pericoloso, se mi corico, mi riaddormento subito e non è possibile.Scappo.
Iniziano i turni al bagno e gli immancabili bisticci.
Sento risuonare per tutta la casa urla primordiali “Prima io! No tocca a me, sono il più grande! Tu ci abiti in gabinetto!” Io non intervengo, sarebbe inutile, se la sbrigano da soli, devo preparare la colazione per tutti.
Toasts  ben caldi e dorati, marmellata e burro, nutella,  arancie appena spremute, il latte per il più piccolo, il caffè per mio marito. Io? Mi è già passata la voglia anche di bere un espresso, stringo tra le dita il mio prezioso foglietto, la mia fuga.
Gli animi si sono relativamente quietati, stanno tutti mangiano la  colazione, io mi reco nelle stanze da letto, faccio arieggiare lenzuola e coperte.
Mi appresto a varcare, con un certo timore, lo confesso, la porta del bagno. Lo sapevo,  ha l'aspetto di un campo da guerra, raccolgo  i panni  sparsi a terra, li metto nel cesto della biancheria sporca, raccatto le ciabatte, vado alla ricerca del mio bagnoschiuma preferito, (di solito lo nascondo  dietro la finestra, proprio sul davanzale, i maschi di casa me lo finirebbero in mezza giornata),  finalmente anche io posso fare una veloce doccia, rivestirmi  e prepararmi per andare al lavoro.
Mi sento stanca, prima ancora che la giornata si srotoli. I figli sono usciti tutti, mio marito ne ha accompagnati alcuni. E' una giornata di sole, non è proprio caldo ma ti accarezza e ti riscalda il cuore. E se non andassi al lavoro, se per una mattina fuggissi? Ho nella borsa il mio prezioso foglietto, lo prendo e mi perdo  in quella immagine ch,e per carità, non ha nulla di fantastico anzi, sa di caldo, sabbia negli occhi, sudore ma, quella scritta in arabo, mi intriga, chissà quale posto da sogno indica....
Già mi vedo, sono su di un cammello, (ma non era un cavallo? anzi un destriero?), mi suggerisce una vocina recondita, a ben pensarci attraverso meglio il deserto su di un cammello, se mi concentro  sento  che non è molto comodo. Indosso una sahariana color sabbia, cappello di paglia in testa, occhialoni  scuri che quasi mi coprono il volto. Accanto a me una splendente guardia del corpo, si insomma un accompagnatore turistico, mi guida con sicurezza tra le dune. Ogni tanto mi stringe il gomito con sussiego e un fremito mi pervade tutta...
“Signora il semaforo è verde, vuole per caso accamparsi sul marciapiede o aspetta un colore di suo gradimento che faccia pandan con l'abito?”
Ma quale guida e guida, un signore mi scuote per il braccio perchè non mi decido ad attraversare la strada.
Rossa in volto chiedo scusa e mi affretto verso la scuola. La campana è già suonata ed io come una ladra cerco di rendermi invisibile agli occhi della bidella. Lo sanno tutti che è la Mata Hari della situazione.
“Buongiorno Prof. Anche oggi in ritardo?” (ma questo è un saluto o un  rimprovero?), mi saluta la  mia alunna.”Ci si mette anche lei, maledetta!” penso.
Con il mio prezioso biglietto in tasca entro in classe.
Incomincia la routine, appello, spiego, interrogo ma... la mia mente è lontana. Chissà cosa c'è scritto su quella insegna in arabo! Devo sapere, mi sforzo di catalagore tutti i conoscenti e gli amici ma non ricordo nessuno che conosca l'arabo.
Aspetta un momento, posso chiedere al fruttivendolo all 'angolo di via Roma, se non sbaglio è tunisino. Evviva, finalmente saprò!
Con nel cuore una nuova speranza, arriva il bidello con una comunicazione urgente: durante la pausa pranzo riunione straodinaria per un caso di “disperata ignoranza” di un alunno.
“Ci mancava anche questa!” penso.
Inizia la riunione, mi hanno lasciato il posto proprio accanto alla “saccente”della situazione poi, come al solito, mi rifilano il verbale da redigere. Quanto li odio!
Iniziano a discutere sul caso in questione, io... sono con il pensiero in...Tunisia.
Mi trovo in un harem, sono la favorita del principe. Sono bellissima, non sono neanche gelosa delle altre concubine e so perchè.... non faccio niente dalla mattina alla sera ,devo solo essere bella e curarmi per il mio ...lui. Certo che come femminista sono proprio caduta in basso.
Sto versandomi copiosamente addosso del profumo intenso, sento  i vestiti bagnati...
“Scusa,scusa, non volevo!”mi dice la collega seduta accanto.
Un intero bicchiere d'acqua mi è stato versato addosso, altro che intenso profumo.
Lascio cadere in tasca l' immagine delle insegne, (e' evidente che mi aliena dal mondo) e cerco di tamponare tutto il bagnato.
“Professoressa  Anselmi ha preso nota di quanto è stato detto finora?” La voce della preside mi tuona vicino all'orecchio. “Oh certamente!” Non ho sentito nulla, dovrò chiedere lumi alla collega saccente, sigh!
Come Dio vuole, termino le ore a scuola e di buona lena, mi reco dal fruttivendolo.
Lo intravedo dietro il bancone mentre pesa della frutta. Come faccio ad avvicinarmi? Con quale scusa gli chiedo di tradurmi ciò che c'è scritto sulla prima insegna a sinistra del mio prezioso biglietto?
Mi avvicino e comincio ad acquistare frutta di vario tipo,  lo faccio sempre guardando fissamente il giovane tunisino.
“Scusi signora, le interessa mio marito?” Sento una voce con un accento straniero dietro alle mie spalle.
E' una giovane donna, dal colorito scuro che mi guarda imbronciata.
“Oh no, davvero, ero solo sovrapensiero!” mi scuso, ci manca solo che mi accusino di adescare giovani stranieri.
“Sovra che?” mi dice.
 Mi affretto a pagare ed esco a precipizio dal negozio, ho acquistato frutta per un mese intero e come un mulo mi ritrovo a sobbarcarmi il peso e, caracollando, mi avvio verso casa.
Il biglietto mi pesa nella tasca è come un essere con vita propria che mi spinge a prenderlo tra le mani, a sapere  e sognare.
Mi siedo su di una panchina, lungo la strada. Poso a terra il mio carico di frutta e prendo tra le mani  l'immagine. Guardo con attenzione  e per la prima volta scorgo una quarta insegna rovesciata nella sabbia. Mi sale n magone, sa di guerra, rivolta, morti, immigrazione. Chissà cosa indicava?
Con una sensazione di vuoto allo sterno, riprendo la sporta della spesa e a passo improvvisamente stanco mi avvio verso casa.
Mi immagino in fuga su di un camion carico di altri disperati come me, la  paura negli occhi e nel cuore. Dalla strada sterrata si alzano nubi  di sabbia, mi copro il volto con un telo scuro, mi ci avvolgo dentro per rendermi invisibile. Improvvisamente non so quale sarà il mio fututo, con me non ho nulla, a farmi compagnia la fame, gli stenti, il futuro incerto. Sento lacrime salate scorrere sulle labbra, le assurgo con la lingua vome se mi potessero dissetare. Mi salgono alla memoria immagini di sofferenze indicibili, barconi stracarichi di merce umana in balia delle onde, urla, disperazione, morte....
“Mamma che fai non mi vedi?” Una calda dolce voce mi riporta alla realtà, la mia realtà.
Abbraccio con gli occhi questo mio figlio, prodotto d'amore. Mi guardo attorno, apprezzo improvvisamente ciò che vedo, la vita che ho. Riprendo tra le mani l'immagine di quattro segnali stradali in uno sperduto deserto che non conosco. Distendo con le mani  quel foglio di carta che  sa raccontare di vita, speranza e di morte con quattro semplici cartelli stradali, con il sole alle spalle e lunghe ombre sulla sabbia.

.

La pietà




Donna,
stringi tra le braccia
il corpo inerte di figlio,
non lacrime
 ma mute parole
lo sguardo
 ad altri rimanda.
Col cuore a pezzi,
nel corpo abbandonato,
cerchi  respiro
sinonimo di vita .
Nessuno accanto
se non il tuo dolore,
solo altre madri,
in muto silenzio,
comprendono lo strazio.