martedì 6 ottobre 2015

LA VOCE



Rannicchiata a terra, tra la polvere e gli scarafaggi, cerco di rendermi invisibile. So che lui è vicino, è fuori, ne sento i passi pesanti e la sua voce roca che chiama.
 “Piccolina, esci, non ti faccio nulla! Vieni fuori, tanto sai che ti troverò e allora….vedrai sarà bello…” E continua con questa litania che, pur sussurrata nel buio di quella vecchia stazione, mi lacera i timpani, non celando la minaccia che lui rappresenta.
Metto le mani sugli orecchi e tremante mi raggomitolo, ancor di più, se possibile, sotto la panchina di legno.
“Piccolina, non farmi arrabbiare…piccolina….” Continua a chiamarmi con quell’assurdo nome ,  tra le fessure della vecchia porta,  il bagliore di una torcia, sonda le tenebre della notte. Ho ancora il cellulare in tasca, ma non oso chiedere aiuto, se lo attivassi temo che potrebbe vedere la luce del display. Ho tolto la suoneria, anche il mio respiro si è come annullato, solo il cuore mi tamburella in petto…ma quello non lo può sentire, spero. Sono riuscita a entrare nella sala d’aspetto scavalcando una finestrella posta in alto, sbarrata apparentemente da una tavola. La conosco bene questa stanza, da piccola mia nonno mi portava spessissimo a vedere i treni passare, erano la mia passione.
 Quante volte lo avevo visto lavorare come capostazione. Per me era un mito, riusciva a fermare o far partire un treno con un semplice fischio, ai miei occhi di bimba era un super eroe, adesso grazie a lui forse mi sarei potuta salvare.
“Non sarai nella sala d’attesa? Vero piccolina?” Così dicendo dà scossoni alla porta d’ingresso, per fortuna serrata da un grosso lucchetto di ferro.
“Non penserai di sfuggirmi! Io sono qui e brucerò tutto pur di stanarti!”.
 Continua quella orrenda voce che sa di oltretomba.
Come sono arrivata a cacciarmi in una situazione del genere? La mia dabbenaggine. Il voler vedere il bene ovunque, il mio atteggiamento da buona samaritana. Adesso chi mi avrebbe salvato? Sento qualcosa strisciarmi tra i piedi, un brivido mi percorre lo squittio è palesemente di un topo.
“Meglio il ratto che quell’uomo.” Mi dico per farmi coraggio.
Inizio a sentire freddo, ormai sono passate più di due ore…o forse il tempo si è dilatato.
Il mio orologio segna le ventuno…a casa mi aspettano…cosa avrebbero fatto se non fossi più tornata! Una lacrima mi scende e con rabbia l’asciugo. Devo pensare a salvarmi, a resistere…“Dove sei! Esci immediatamente o comincio ad arrabbiarmi!”.
Sento la voce gridare, ma quello che mi fa più paura è il tono, è freddo, definitivo, sembra una sentenza di morte. Mi riporta a quando mi tempestava di pugni dicendomi “Hai fatto la cattiva. Te lo meriti!"
Al buio striscio fuori dalla panchina, mi ricordo di una porta con cui si accedeva nell’ufficio dell’impiegato. Quando nonno mi portava con sé mi faceva giocare con i timbri della biglietteria. Era una stazione poco frequentata, vi si fermavano solo gli accelerati.
Trascinandomi sul pavimento con la mano tocco lo stipite della porta, pianissimo mi alzo e raggiungo la maniglia. L’abbasso…la porta fa resistenza. Mi risiedo a terra, “se riuscissi ad aprirla, forse sarei più al sicuro nell’altra stanza” penso. Se non ricordo male c’è anche uno sgabuzzino, allora era utilizzato come archivio.
“La bella si nasconde…ma ti troverò. E poi….la FESTAAAA!” Urla la voce.
 Comprendo che non ha paura di farsi sentire. La stazione è isolata dal resto del paese.
Devo farmi forza. Appena la luce della torcia si allontana, mi alzo e con piccole spinte cerco di forzare la porta. Nonostante il freddo, un sudore gelido mi avvolge.
“Sento un rumore…ehi piccolina, ora ti trovo! Ti ricordi com’era bello quando facevamo l’amore? Ora lo possiamo rifare, se farai la brava…!”.
Il gelo, se possibile aumenta ho le mani che mi tremano, anche i denti battono e sono sicura che ne abbia sentito il rumore.
“Un …due…tre…ora ti prendooooo!” Continua l’incubo. Mi stendo a terra, faccia in giù, cerco di calmare il battito cardiaco sempre più veloce. La luce della torcia si è fatta più vicina. Attraverso la fessura della vecchia imposta cerca di rischiarare l’ambiente interno e scovarmi.
“Piccolina, lo so che ci sei. Facciamo un patto, tu esci ed io ti accompagno dove vuoi. Che non mi credi? Non eri tu che mi dicevi…-Ho fiducia in te, quando avrai pagato il tuo debito con la giustizia ti aiuterò, non temere…- Che solo parole? Ora sono fuori e tu che fai? Scappi!” Il tono è sempre più arrabbiato.
Non riesco a parlare, stupida, sciocca a credere ancora in lui, a pensare che gli scatti d’ira fossero solo momentanei. Ripenso a quante volte l’ho perdonato, alle innumerevoli situazioni in cui ho nascosto con il fard i lividi e ho giustificato le reazioni violente. Stupida, stupida, stupida…Oggi quando all’uscita dal lavoro mi è saltato addosso, mi sono sentita mancare e sono scappata. Lui non conosce il nuovo indirizzo dove vivo con i bambini dopo averlo denunciato, così mi ha consigliato l’avvocato. La fuga però non è servita. Ho cercato di sfuggirgli ma mi ha raggiunto e con la forza mi ha fatto salire su di un’auto, forse rubata. Gli ho dato un recapito falso voleva vedere i figli. A un rifornimento di benzina gli sono sfuggita ora sono nella vecchia stazione, lui giura vendetta.
Nonno ti prego, aiutami.” Mi ripeto come un mantra. Mi rialzo, ora che la luce si è allontanata mi appoggio con tutto il mio peso contro la porta, ecco inizia a cedere e con un cigolio sommesso, che a me sembra amplificato al massimo, riesco a sgusciare dentro. La richiudo e camminando gattoni mi oriento nel buio.
“Piccolina, non penserai che me ne andrò. Sapessi quante volte tra quelle quattro mura ho sognato la mia vendetta. Ti farò urlare, ti strapperò i capelli, le unghie, ti spappolerò il naso…nessuno ti potrà più guardare, neanche i bambini. “Continua la voce.
 Ancora a tentoni cerco la porta dell’archivio. Ho le mani graffiate, il pantalone strappato, sento del sangue sulle ginocchia.  Ragnatele mi imprigionano momentaneamente, ma sono niente rispetto alla voce, alla sua voce…
Nonnino ti prego, aiutami. Fammi trovare quella stanzetta.” Continuo a pregare. Inavvertitamente urto la seggiola, sembra quella che usava il bigliettaio. In un flash lo rivedo, è dietro al divisorio di vetro, non sempre si capivano le sue parole, quand’ero piccola pensavo che non avesse gambe, lo avevo sempre visto dietro quel tramezzo. Il rumore è tremendo, per me assordante. Mi fermo di botto. Lui avrà sentito…
“Ecco degli indizi…allora piccolina so dove sei…fuoco…fuocherello….” La voce, per fortuna, si allontana.
Aspetto ancora un po’, poi mi alzo e con le braccia in avanti cerco di evitare gli eventuali ostacoli. Raggiungo una parete e con le mani, come fossero occhi, tento di trovare la porta della mia salvezza. Tasto la parete, poi un’ altra, finalmente…eccola. Non è chiusa si apre subito appena ruoto la maniglia. L’aria è stantia, sa di muffa, sporcizia…non ci sono aperture. Chiudo la porta alle mie spalle, mi ci siedo contro e prendo il cellulare.
Si accende subito, digito il 113…
“Aiuto, sono alla vecchia stazione di Giammoro, chiusa in uno sgabuzzino. Il mio ex vuole uccidermi, presto aiutatemi! E’ armato! Fate presto, vi prego…” Finisco piangendo e urlando. Non sento neppure la risposta.
“Sto arrivando! Fine dei giochi.” La voce è ormai vicina. Colpi alla porta sempre più violenti, poi uno schianto… è stata abbattuta.
La voce “Che cosa credevi, ormai sei nelle mie mani!” E’ lui che si aggira nella sala d’aspetto, ha mandato in frantumi il divisorio in vetro, ha lanciato qualcosa per aria che ricade con un gran fracasso di legno rotto, forse è quella vecchia panchina…
Nonno, nonno, se dovessi morire accoglimi tu, ho paura.” Prego. Ormai è nella biglietteria, grida, rompe …distrugge.
“Guarda, guarda…una porta. Piccolina sei lì, vero?” Si avventa contro, la mia fine è vicina.
Con la torcia mi illumina, un ghigno sconvolge quel volto che ho tanto amato. Mi afferra per i capelli e mi trascina fuori dal rifugio ormai scoperto. Piango, supplico, gli afferro una mano…“Ti prego, ti prego, non farmi male, pensa ai bambini…!” Uno schiaffo violento mi spacca le labbra…”è la fine….nonno, vecchia stazione…” sono i miei pensieri mentre implacabile continua a colpirmi. Improvvisa una sirena squarcia la notte. Ho gli occhi gonfi per i pugni non vedo, sento a tratti una voce…“Fermo, lasciala…alza le mani!”
Grazie nonno. Grazie vecchia stazione.” Do voce ai miei pensieri.
Come un fantoccio svuotato esausta resto a terra. Lo so, sono salva!
FINE


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