martedì 2 ottobre 2012

LA SACERDOTESSA DI MALABOTTA



OGGI

Il tempo scorreva lento, scandito dal mio respiro ansante mentre mi nascondevo tra il fogliame del sottobosco. Cercavo di calmare il battito cardiaco, era come il rullare di un tamburo che riecheggiava negli orecchi. Temevo che anche altri lo potessero sentire. Tentavo, senza riuscirci, di fermare il tremore dei muscoli delle gambe, era da tanto che ero accovacciata a terra, nulla del mio corpo doveva muoversi, quell’uomo poteva notarmi. I miei occhi verdi si mimetizzavano con l'ambiente, spiavano i movimenti di quell’intruso nel mio “bosco”.
“Il mio bosco”, così lo consideravo ormai, da lungo tempo. Ero fuggita da tutto e tutti, vivendo a contatto di una natura incontaminata che mi aveva eletta “regina di Malabotta”. Ora mi sentivo in pericolo, chi era quell’uomo che dotato di cellulare satellitare continuava a parlare concitatamente? Avevo carpito alcune parole “E' qui lo so, lo sento. Non me ne andrò fino a quando non avrò perlustrato tutta la zona. Adesso mi trovo in prossimità dell’aquila, si... si... del dolmen! Ti chiamo tra dieci minuti!”
Perché mi cercava? Che cosa voleva da me? Non potevo rischiare di essere scoperta e quindi ero come una statua acquattata tra il fogliame.
Non solo io ero in attesa, anche la natura intorno sembrava esserlo.  Una poiana era appollaiata sul ramo di un faggio, sembrava una sentinella, un ragno aveva fermato il proprio lavoro di tessitura, perfino il venticello che fino a pochi minuti fa soffiava, si era chetato...
Tutto sembrava attendere l'allontanamento di quell'uomo. Perché aveva “stuprato” con la sua presenza l’isolamento naturale del bosco?
Il cellulare che squillava, lui che parlava a voce alta ed esagitata, i suoi passi che calpestavano senza rispetto il terreno, anche la volpe, guardinga, si era allontanata, volgendosi indietro per osservarlo!
“Ti dico che l'ho vista, è lei. Ne sono sicuro!” Urlava nel silenzio circostante.
Sembrava seguire una pista ben precisa,  le narici fremevano come se ricercasse qualcosa,  un odore, un profumo che lo ricollegava a me. Che cosa avvertiva? Che cosa aveva annusato? Soprattutto perché voleva trovarmi?
Io abito o meglio sono “ospite del bosco”, da almeno un anno, così credo, ho contato i miei cicli per orientarmi nello scorrere del tempo.
La mia storia è molto strana, perlomeno penso, ormai non ho certezze se non l'alternarsi del dì e della notte, il susseguirsi delle stagioni.

IERI

Nella mia vita “precedente” abitavo a Messina. Forse ero felice, forse...
Ero come tutte le altre ragazze, studiavo all'Università, facoltà di  medicina, il mio sogno era specializzarmi in neuropsichiatria infantile. Avevo attese, speranze … poi un giorno crollò tutto, come un inutile e fallace castello di carte.
Che cosa era avvenuto? Forse la storia era banale ma, per me, che l'avevo vissuta sulla mia pelle, era atroce.
 Una sera, con la mia amica più cara, ero andata in discoteca nella zona dei Colli di San Rizzo.
Una serata come tante, divertimento, alcool, ballo, il mio ragazzo accanto, poi...poi tornammo a casa, guidavo la mia utilitaria, eravamo felici, il mondo pensavamo fosse ai nostri piedi e a portata di mano, solo per noi.
In macchina ero con Laura, appunto la mia compagna di stanza, Luca il mio fidanzato aveva preferito attardarsi. Io stavo bene con la mia amica del cuore, il mio mentore, la mia confidente, lei sapeva tutto di me ed io di lei.
Non so cosa accadde di preciso, la macchina sbandò in una curva e precipitò lungo la scarpata e noi con lei. Laura fu sbalzata fuori nella caduta, io rimasi tramortita in auto.
Non so dopo quanto mi ripresi, era arrivata l'aurora, a tastoni cercai il cellulare, il display si accese ma non c'era campo. Ricordo che pur dolorante, uscii dall'auto ridotta a un rottame, chiamai aiuto, urlando con tutto il fiato che avevo in corpo, chiamavo Laura, gridavo il suo nome...nessuno mi rispondeva...
Non rammento altro, persi i sensi e...mi risvegliai in ospedale.
Furono giorni d’inferno, dolori in tutto il corpo ma quello più lancinante, nel mio cuore: Laura era morta sul colpo. Quando era stata sbalzata dall'auto, si era schiantata contro un albero!
Io mi sentivo morta dentro, le ferite esteriori guarivano, quelle dell'anima no!
Mi sentivo colpevole per quanto era avvenuto: io guidavo, io avevo bevuto, io l'avevo convinta a seguirmi in quella maledetta discoteca.
Seguirono i giorni dei se: se non fossi andata, se non avessi bevuto, se non mi fossi distratta nella guida,se...se...se...se!
Non vivevo più, non riuscivo a guardare negli occhi la mamma di Laura, era colpa mia la sua disperazione!
Mi portarono dallo psicologo, poi feci terapia di gruppo, andai dallo psicanalista, tutto inutile, i sensi di colpa non mi lasciavano dormire, mangiare, vivere.
Incominciai a bere, nonostante il supporto della mia famiglia, non riuscivo proprio a uscirne fuori.
Come si suol dire toccai il “fondo” e un giorno, all'ennesima discussione con i miei cari, me ne andai.
Dove? Non avevo una meta, camminai, camminai, corsi, piansi, gridai, pregai, maledissi e arrivai...
Si arrivai nel mio bosco!
La vegetazione si chiuse alle mie spalle e sulla mia disperazione.
Conoscevo il luogo, avevo studiato i dolmen e gli antichi menhir del bosco di Malabotta alle scuole superiori, mi avevano sempre affascinata.
Per me era un luogo magico, nella difficoltà del vivere quotidiano si rimarginavano le ferite dell'anima.
Mi creai un rifugio accettabile proprio vicino all'Orante, tra le pieghe della roccia mi sentivo protetta. Raccolsi fogliame per crearmi un giaciglio tra le peonie e le ginestre e riposai tranquilla, la Dea neolitica mi proteggeva e leniva le mie laceranti pene.
Sentivo per la prima volta una parvenza di pace nell'anima.
Non furono facili i primi tempi, mi nutrivo con quello che la natura mi offriva. L'acqua la prendevo al Pluviometro, il megalitico che convogliava le acque nelle sottostanti vaschette. Nelle perlustrazioni quotidiane, che m’impegnarono nei primi tempi, scoprii un Cubburi. In esso trovai dei reperti funerari, li seppellii poco lontano e m’insediai. Desideravo rispettare i morti, non far arrabbiare gli spiriti che in questo luogo sembravano avervi trovato dimora.
Raccoglievo a piene mani, ciò che la natura mi dava, imparai a riconoscere l'avvicinarsi di un cinghiale da quello di una volpe, il veloce spostarsi dei conigli selvatici da quello del topo quercino. Un giorno catturai una capretta e il suo latte mi nutrì.
Un medicamento per il mio spirito ferito fu sicuramente l'affanno della vita quotidiana, ripararmi dal freddo, dalla pioggia, smorzare la fame, dormire sicura. Mi fortificavo giorno per giorno, le piaghe del dolore guarivano, metabolizzavo quanto era avvenuto nella mia vita. La cosa assurda era che non sentivo la mancanza della famiglia, non pensavo al dolore di mia madre, di mio padre, di mio fratello, del mio ragazzo. Non c'era spazio nella mia mente per il dolore altrui ma solo per la mia disperazione che doveva essere quietata, annullata, resa inoffensiva.
Un giorno ebbi un incontro incredibile e inaspettato, durante il mio peregrinare nel cercare cibo e scoprire nuovi angoli del mio bosco, proprio vicino alla Grande Rupe, il maestoso megalite con il gigantesco volto, vidi una vestale o almeno così da lontano mi apparve.
Era alta e maestosa con le braccia levate verso il cielo, gli occhi chiusi e sussurrava un mantra. Indossava una veste bianca, lunga e fluttuante. Mi sembrò un’apparizione. Rimasi ferma, in silenzio, avevo paura che anche compiendo un semplice movimento, potesse sparire, non volevo guastare la magia del momento.
Non so quanto tempo trascorse, forse un’ora o poco meno. La donna riabbassò le braccia, piegò il capo e i fluenti capelli biondi le coprirono il volto. Decisi che quello era il momento migliore per andarmene.
“Dove vai? Fermati!” mi richiamò una voce possente e profonda.
Ebbi paura, mi fermai perché le gambe non obbedivano alla mia volontà di allontanarmi!
“Vieni da me, subito!” e contro la mia determinazione mi ritrovai ad avviarmi verso la donna che aveva pronunciato questi ordini!
Me la trovai dinanzi, era anziana, da lontano sembrava molto più giovane, ero stata ingannata dai lunghi capelli biondi che le incorniciavano un volto solcato in realtà, da un dedalo di rughe profonde.
Gli occhi erano incredibilmente penetranti, mi fissavano e sembravano leggermi nell'anima. Allungò la mano e mi accarezzò il capo. Un'improvvisa energia mi pervase il corpo, fu come una scarica elettrica e mi ritrovai inginocchiata sulla nuda terra.
“Alzati ora, sei una donna che ha sofferto molto, troverai la tua pace!” Ebbi appena il tempo di alzare lo sguardo, mettermi in piedi, e lei non c'era più. Dove fino a pochi minuti prima c'erano i suoi piedi, adesso c'era un vassoio colmo di frutta e di verdure.
Mi voltai stranita, con gli occhi inutilmente la cercai, ma non vi era traccia della donna, ero dolorosamente sola. Presi il cesto e, con una grande tristezza nel cuore, ritornai al mio rifugio.
Improvvisamente mi ero resa conto di essere inesorabilmente sola, sentivo il bisogno di avere accanto qualcuno, soprattutto volevo rivedere quella sacerdotessa, la sua sparizione mi aveva lasciata orfana di qualcosa di vitale.
I giorni seguenti la cercai ovunque, camminai in lungo e largo, solo all'imbrunire tornavo al mio Cubburi. Riposavo sul giaciglio che mi ero costruita, mungevo la capretta e bevevo quel dolce latte.
La notte sognavo la sacerdotessa, bramavo rincontrarla, sentivo di aver bisogno di lei.
I giorni trascorrevano sempre uguali, solo una speranza nel mio cuore, rivedere quella donna.
Le escursioni giornaliere mi permettevano di conoscere e amare sempre più il “mio bosco”, comprendevo anche come fosse possibile vivere con poco. Basta col superfluo che non mi aveva dato gioia, si a ciò che era necessario alla mia sopravvivenza, ma  un giorno  mi ammalai...
Brividi di freddo, capogiri, dolori intestinali, non riuscivo neppure ad alzarmi dal mio giaciglio e bere un po' di latte e poi apparve lei... la sacerdotessa.
In silenzio entrò nel tholos che mi ospitava, posò la sua mano fresca sulla mia fronte, si avvicinò al focolare, prese un po' d'acqua la mise in un pentolino. La fece bollire, poi da un sacchetto che teneva legato ai fianchi, prese della polvere e la versò nell'acqua bollente. Attese un po' e poi mi fece bere quella che doveva essere una tisana. Si sedette accanto a me e tenendomi la mano, iniziò a cantare un mantra. Mi addormentai, al mio risveglio lei non c'era più, io stavo bene.
Come aveva saputo che stavo male? Come aveva fatto a scovare il mio rifugio?
La sacerdotessa di Malabotta sapeva tutto, forse la natura stessa le parlava.
Desideravo ardentemente conoscerla, forse carpirne i segreti, avevo bisogno, forse inconsciamente, di compagnia e protezione!
Nei giorni a seguire continuai a cercarla, ritornai ai megaliti, all'Orante, all'Aquila, andai fino al Tetraedro ma di lei non c'era ombra. A un certo punto mi convinsi di averla sognata, era il mio bisogno di essere protetta a crearla.

OGGI

E oggi … questo intruso mi cerca. Quest’uomo che non conosco è sulle mie tracce, forse vuole riportarmi a casa ma io non sono ancora pronta, credo!
“Dove vai,  vieni con me! Ti nascondo io!” Questa voce profonda e possente la conosco  è lei, la sacerdotessa. E' arrivata in silenzio alle mie spalle, non ho avvertito neppure un fruscio.
Con occhi incantati e soggiogati la seguo. Cammina svelta, nonostante l'età, io invece arranco, alcune volte la perdo di vista. Nei sentieri che lei m’indica mi aspetta, senza parlare  mi mostra  la via.
Camminiamo per lungo tempo, mi accorgo che mi sto allontanando dai luoghi conosciuti, costeggiamo un ruscello che non ho mai visto, ci fermiamo in una radura, protetta da alte querce e poderosi faggi. Fra i cespugli s’intravede un'abitazione, è la sua! Sulla soglia c'è la sacerdotessa che mi attende, con le mani mi fa cenno di entrare. Timorosa obbedisco!
“Ti trovi nella mia dimora solo perché io te l’ho permesso! A occhi profani la mia casa è invisibile! Io apro la mente! Io oscuro la vista! Entra!”
Acconsento insicura e mi accomodo su di uno scranno posto a ridosso della parete.
Da vicino questa donna intimorisce, non tanto per l'altezza, che è sicuramente inusuale  nelle femmine, ma per la forza della voce.
La mia vista si sta abituando alla penombra e distinguo gli oggetti e gli arredi della stanza.
Un’intera parete è coperta da alti scaffali ripieni di ampolle, sembra quasi di essere in una vecchia farmacia.
Un enorme camino in pietra è posto nella parete opposta, al centro della stanza vi è un semplice tavolo di legno e delle seggiole intorno. In fondo alla camera una scala sale nel buio, probabilmente conduce alla zona notte.
La donna mi guarda con profondità, sembra in attesa.
Io non parlo, riesco appena a dire “Grazie.”
E' la sua voce profonda che dice “Raccontami la tua storia!” Senza neppure accorgermi inizio  a parlare della mia casa, delle mie amicizie, di Laura e la sciagurata sera dell' investimento... “Adesso la mia casa è il bosco! Non sono ancora pronta a tornare alla mia vecchia vita!” finisco.
“ Lo sai bene che  dovrai ripresentarti. Non puoi isolarti e non vivere la tua condizione di donna. Puoi restare con me fino a quando sarai pronta. Io ti aiuterò a superare il dolore e a rinascere ad una vita consapevole! Adesso vieni, prepariamo qualcosa da mangiare, poi andremo a prendere la capretta alla tua dimora. Non ti preoccupare dell'uomo, ha perso le tracce  e adesso  ha deciso di tornare all' auto che ha lasciato ai margini del bosco!.”
“Come sai tutte queste cose?” Le chiedo incuriosita.
“Io so tutto, vedo tutto! Leggo nella mente e nei cuori delle persone. Conosco le piante medicamentose, aiuto gli animali feriti. Non amo gli uomini. Sono cattivi, se mi catturassero vorrebbero apprendere i miei segreti, le mie pozioni, analizzarmi come se  fossi una strega, magari potendolo, mandarmi al rogo! Vorrebbero studiare i miei poteri o mettermi in gabbia come un essere unico e pericoloso.
In realtà mi considero la sacerdotessa del bosco, vivo qui da sempre. Non potrei vivere lontano dai miei alberi, dagli animali, dai luoghi sacri. Sono  loro che mi danno energia e forza. Possiedono potenza e spiritualità, basta saper sentire la natura, guardare, osservare, capire, rispettare. Nella natura c’è tutto quello di cui l’uomo ha bisogno. Non deve depredare, rovinare, distruggere!”
Dopo questo lungo monologo, sembra chiudersi in se stessa, ammutolisce come se mi avesse detto troppo, si mette subito all'opera e prepara una zuppa di erbe.
Mangiamo in silenzio, il cibo è buonissimo e mi ritempra.
Finito il pranzo aiuto la donna  a ripulire i piatti, sistemare e poi mi siedo e attendo. Lei sembra persa in elucubrazioni personali, non mi guarda è seduta sulla panca vicino al portoncino d'ingresso, sembra in trance. In un certo senso mi fa paura.
Ha gli occhi chiusi, la postura è rigida, solo le labbra si muovono in una silenziosa preghiera. Temo anche di muovermi e provocare una reazione, sto immobile e aspetto ...
Improvvisamente dal camino acceso  si sprigiona una nuvola bianca che avvolge la donna, la cela alla mia vista. La stanza s’illumina, dura un attimo, poi torna tutto in penombra. La  sacerdotessa si risveglia. Gli occhi sembrano più lucenti, mi guarda e mi dice “Non temere, è il mio spirito guida che s’impossessa della mia anima e mi permette di vivere.”
Ne so quanto prima anzi, ho più paura di prima. “Forse è meno pericoloso l'uomo che mi cerca!” Penso.
“Ti sbagli ad aver paura di me. Io non faccio del male. Io possiedo la conoscenza!” Mi dice e quindi avvalora il fatto che sappia leggere nel  pensiero altrui.
Mi fa segno di alzarmi e ci avviamo verso il mio tholos, giunte prendiamo la capretta, la portiamo con noi.
Ad un certo punto mi fa segno di fermarmi e di stare assolutamente immobile e in silenzio, ubbidisco. In lontananza sentiamo il latrare di cani e il vociare di numerosi uomini.
La sacerdotessa mi conduce nel fitto sottobosco, mi dà in mano un mazzetto di erbe dal forte afrore. “Confonderà i cani.” Mi dice. Con le mani mi fa cenno di accovacciarmi e lei  si allontana. Lo fa in un silenzio assoluto, i suoi piedi nudi sfiorano il terreno, non lasciano traccia, in un attimo scompare alla mia vista.
Sento quegli individui sempre più vicini, mi passano accanto, non mi vedono, ascolto… “Dobbiamo trovare quella strega, catturiamola, vedrai quanti soldi faremo! E’ un fenomeno da baraccone. Sono sicuro di averla vista. Riesce a nascondersi come nessuno. Ogni volta che vengo nel bosco mi sento spiato, mi guardo intorno e invece sono solo!” Dice  l’uomo col cappello di feltro, è il più anziano.
“Sia, maledetta! Riesce continuamente a sfuggirmi! La troverò, dovessi vivere solo per questo!” dice un altro, sembra un cacciatore, ha in mano un fucile.
“Dunque non cercano me!” Penso “E' la sacerdotessa che vogliono. Perché la  vogliono catturare?” Con questi pensieri, attendo che si allontanino  e con la capretta al seguito, cerco con estrema difficoltà di ritrovare la casa della vestale.
Al solito è lei che mi guida, ho nella testa un mantra che mi conduce alla radura delle querce. Ritrovo la casa, entro ed aspetto che ritorni la donna.
E' notte fonda quando torna, avverto la sua presenza nella stanza.
Un' aurea rosea la avvolge.
“Dormi?” mi chiede gentilmente in un sussurro.
“No, l'aspettavo.” rispondo.
“Ho pregato tanto nel luogo sacro, gli spiriti ti sono benevoli, guarirai dal tuo dolore, la mia ora forse è giunta!” dice serenamente.
“No, tu non  morirai, il bosco ha bisogno di te. I luoghi sacri richiedono le tue preghiere! Domani andrò incontro a quegli uomini, chiederò loro di riportarmi a casa.
La mia presenza li distrarrà e così lei potrà allontanarsi, chiedere aiuto agli spiriti del bosco. Deve  continuare a vivere nel bosco di  Malabotta, rispettare gli antichi riti, la natura ha bisogno della propria sacerdotessa!” Le dico tutto d'un fiato, io stessa ho paura delle mie parole. Sarò capace di tornare alla mia vecchia vita?
Improvvisamente mi sale alla gola un rantolo e dagli occhi mi scendono copiose lacrime. Finalmente piango,  il dolore  mi sale ad ondate dal profondo del cuore, ne fuoriesce a piene mani e mi svuota! Mi sento più leggera, quel peso insopportabile è sparito! La sacerdotessa si fa accanto e mi culla come fossi una bimba.
Avverto il suo profumo: sa di terra, foglie, bosco, di acqua pura, di sublime.
Una calma incommensurabile  mi scende nel cuore, mi sento pronta, domani tornerò a casa!
Non so cosa sarà di me! Cosa accadrà! Adesso provo una grande  forza interiore, il bosco mi ha guarita!

FINE