lunedì 20 gennaio 2020

lettere d'amore


 

Mia adorata
Mi ritrovo tra le mani lettere di vita e d’amore datate dal 1949 al 1951.
Mi colpisce la carta patinata, su cui il tempo ha intessuto le sue trame, la pagina non ha più il colore originale, è come se gli anni vi avessero lasciato le proprie orme, la scrittura è leggera, vergata con pennino ed inchiostro, per cui si nota l’attenzione nei simboli perfetti, un po' inclinati a destra, come in una danza ritmata, uguale, perenne. Immagino mio padre, seduto al tavolo che scrive….
È un bel giovane, capelli neri e ricci, occhi scuri come la brace e un sorriso avaro, che dona solo a chi ama.  Sono tante, tantissime queste lettere, mia madre le tiene custodite nell’armadio. Ognuna è chiusa nella propria busta, anch’essa patinata dal tempo e corredata dal francobollo in bianco e viola, rappresenta un giovane che sembra portare un attrezzo in legno sulla spalla.
Non nascondo che un moto di rimpianto mi colpisce attecchendo a cuore e mente. Sono lettere che mio padre, allora venticinquenne, inviava a mia madre, appena diciottenne e sua promessa sposa. Come appare obsoleta promessa sposa, eppure dava l’importanza di una scelta di vita, non momentanea ma eterna.
Prendo una busta verde militare, la apro e…un po' mi vergogno, è come spiare dal “buco della serratura” ma il bisogno di sentire accanto papà mi spinge a sbirciare. Chiedo il permesso a mia madre. Lei, oggi novantenne, con un sorriso e una lacrima, me lo concede ed inizia così il mio viaggio a ritroso nel tempo.
Mia adorata…inizia così la missiva.
Mia adorata…io sto bene e tu?...  e leggo l’apprensione per quell’amore lontano. Il bisogno di saperla in buona salute, il desiderio che traspare in quelle parole sempre corrette, attente, rispettose di quell’amore intonso.
Invidio quel sentimento così puro, tra le parole leggi il desiderio di stringerla tra le braccia, il bisogno dei suoi baci, anche semplicemente di tenerla per mano, di passeggiare. Sono lettere in cui il sogno di condividere una nuova vita sembra sempre troppo lontano. Sono parole che descrivono lo scorrere del tempo. Mio padre racconta del lavoro, alacre e produttivo e delle giornate vissute nell’attesa del ritorno a casa. Sono lettere che fanno compagnia, molto lontane dai nostri sms, anonimi, virgolettati, spesso accompagnati da emoticon che non ci appartengono. Mi fermo a riflettere, mi chiedo se forse nei nostri amori ci siamo persi il romanticismo, l’attesa, il sogno. Viviamo amori bruciati nella corsa del fare, che dal desiderio passano subito alla soddisfazione. Peccato…non è forse l’attesa a renderne sublime la realizzazione?
“Mia adorata vivo nel pensiero costante di te. Anche il lavoro più duro o noioso ha un senso se presto ci rivedremo!”
Ancora quel bisogno di contatto reale. Mi guardo attorno e vedo persone col cellulare in mano, per carità sempre connesse, sì... ma connesse a cosa?
Che senso ha il contatto virtuale se dimentichiamo chi ci vive accanto! Se non chiediamo  un semplice “Come stai?” Reale, veritiero, faccia a faccia…. Se non accarezziamo più una mano, una gota ma al massimo inviamo un messaggio, magari ogni mattina ma non scritto da noi, semplicemente copiato!!!
Dobbiamo riappropriarci della bellezza della parola pronunciata, dei gesti dati e ricevuti, del contatto degli occhi, dei visi…
“Mia adorata…siamo stati creati l’uno per l’altra. Siamo due pezzi che combaciano…senza di te sono solo una metà, tu… senza di me come ti senti?”
Un brivido mi percorre e comprendo. Finalmente comprendo l’assenza che mia madre, a distanza di anni, ancora avverte dopo la morte di mio padre. Chi potrà mai colmare quel vuoto?
L’unica consolazione è che lei ha vissuto l’intenso amore, un giorno incontrandolo in una diversa dimensione, potrà continuarne a viverne la bellezza.
“Mia adorata..” chiudo la lettera, è uno scrigno che non m’appartiene!
La ripongo nella sua busta ingiallita dal tempo.