venerdì 4 novembre 2011

GIULIA


 
“Giulia alzati è ora di andare a scuola!” siamo alle solite, la mattina non c’è verso di svegliare la mia bambina di sette anni.
Mi affaccio sulla porta della sua camera e la osservo con il cuore intenerito: si gira e si rigira nel letto, tenta affannosamente di aprire gli occhi ma, le palpebre sembrano incollate, si stiracchia nel letto e come un gatto  inarca il corpo. Sembra non volersi allontanare dal suo incantato mondo fatto di sogni, dove la realtà è lasciata sulla soglia ad aspettare il risveglio. I capelli sono sparsi sul cuscino e le fanno da aureola bruna. Nella stanza aleggia il suo profumo di bimba che sa di borotalco e calore.
“Mamy, non ce la faccio!” mugugna
Mi avvicino al suo letto e inizio a farle il solletico poi, la faccio rotolare sulle coperte, con un gioco che sempre ripeteva mia madre, al mattino:  “Crisci pasta, crisci pastuni comu facia lo nostru Signuri ‘nto pasciuni!” e, come per incanto, il tempo si annulla e mi rivedo piccina.
E’ vero tutto scorre, passa, si alternano le stagioni, lo spazio si allunga e diviene orizzonte ma, i ricordi, avvicinano le età andate come uno yo-yo che si fa srotolare e arrotolare per gioco.
“Dai Giulia, amore, non è giusto arrivare in ritardo a scuola, dai ho preparato la colazione!!!”
La piccina, che è anche golosa, si mette a sedere sul letto ed improvvisamente  ritrova le forze, e in un batter d’occhio, sbriga tutte le incombenze che la riguardano.
La guardo con malcelato orgoglio materno e con gli occhi del cuore me la immagino signorinella alle prese con le prime cotte e delusioni. Chissà se si confiderà ancora, così come fa oggi. Non mi nasconde nulla, i voti, i rimproveri, i bisticci con i compagni, il suo cuore è un libro aperto in cui posso leggere le pagine della sua breve vita
E’ vero, breve vita, ma così intensa che è come se avesse cento anni, invece di sette, per esperienza, dolori ed affanni, che una bimba non
 dovrebbe assolutamente conoscere.
Se torno indietro con la memoria e le emozioni, tutto mi scorre dinanzi agli occhi, come un film da vedere e rivedere per poter assaporare il presente……
…“Tesoro sono incinta!” A queste parole mio marito Flavio rispose prima con sorpresa e poi con uno sguardo innamorato dove si leggeva l’orgoglio dell’avvenuta fecondazione, credo che si sentisse, in quel momento, un supereroe  perché poteva generare la vita.
Al ricordo ancora mi commuovo, sembravamo camminare sulla classica nuvoletta rosa, laddove non puoi inciampare perché non vi sono ostacoli, ma tutto scorre serenamente.
Ricordo ancora che comprammo una buona bottiglia di vino e festeggiammo felici la nostra famiglia in crescita.
Mai come allora ebbi accanto un marito affettuoso, attento ai desideri, credo che se avessi chiesto la luna avrebbe fatto di tutto per accontentarmi.
Felici giorni fatti di passione contenuta, per non danneggiare il nostro bimbo! Giorni pieni di amore palpabile ed evidente. Mi bastava guardare Flavio per scorgere un sentimento profondo, grato, intenso. Ecco  le emozioni non sono in bianco e nero, quando portano gioia, ma sono colorate.
Non vedi la bruttura che ti può  stare accanto, scorgi solo il bello e il bene, tutto ti arride perché ti senti in pace con te stessa e gli altri.
Purtroppo la dura realtà ben presto ci svegliò.
Alla seconda ecografia la sentenza: il feto presentava una grave
malformazione cardiaca, non sarebbe sopravvissuto,  a lungo, dopo la nascita.
Era consigliabile abortire!
A me spettava la decisione.
Ma come potevo decidere della vita del mio bambino! La disperazione ti coglie all’improvviso, “Che diritto ho di stabilire cosa ne sarà di questo figlio” mi chiedevo ossessivamente. Uscimmo dallo studio medico inebetiti, un dolore opprimente non ci permetteva di parlare, ci tenevamo per mano come una sorta di ancora di salvezza a cui aggrapparci, la mia forza era la forza di Flavio e viceversa.
Sembravamo ubriachi senza meta ma, soprattutto, la disperazione non ti permetteva di connettere.
La mente annebbiata, gli occhi che non  riuscivano a mettere a fuoco ciò che visualizzavano a causa delle lacrime, tutto era avvolto da  un intenso fumo che non ti  permetteva di razionalizzare gli eventi.
…E poi il cuore, ecco il cuore ti faceva  male. Non  un semplice dolore fisico, no di più,  profondo, intenso, non si allontanava con niente era sempre lì presente e ti suggeriva   continuamente il perché di tale sfacelo, ti sussurrava  cosa c’ era  che non andava, non ti permetteva  di allontanarti da quel chiodo fisso che come  meridiana segnava  il susseguirsi delle ore ma restava sempre ben piantato in profondità.
Quella ferita non stillava sangue ma solo urla il dolore.
Ricordo che tornammo a casa, non so come, Flavio mi diceva: ”Vedrai che tutto si risolverà nel migliore dei modi. Io sono dalla tua parte, qualsiasi decisione prenderai.”
Parole crudeli! La decisione spettava a me: vivere o morire!
Nell’ecografia successiva  scoprimmo che era una bimba ed era affetta 
dalla Sindrome di Jacobsen.
 Purtroppo non era consigliabile neppure l’intervento chirurgico nel periodo neonatale, perché la situazione era grave.
Passavano i giorni in modo angosciante, Flavio consultava  medici ed internet, mentre io restavo aggrappata alla speranza che fosse tutto un errore.
Le notti erano insonni, il  nervosismo a  fior di pelle e inoltre si avvicinava sempre più il giorno in cui la decisione doveva essere presa.
Non dimenticherò mai il momento in cui fui sicura di quello che volevo.
Ero seduta sul divano, come ormai facevo da tempo, avevo tra le mani il fotogramma dell’ultima ecografia. Si distingueva la testolina, due braccine esili e le gambette. Una manina era vicino al viso come se la bimba stesse dormendo e si riparasse gli occhi. Ecco in quel momento decisi, sarebbe nata, avremmo affrontato insieme ciò che sarebbe stato. Chiamai Flavio e gli comunicai la mia decisione, lui mi abbracciò e disse” Non sarà facile, ma con l’aiuto di Dio e dei medici forse ce la faremo.”
Trascorrevo la gravidanza apparentemente serena, per non turbare ulteriormente Flavio, in realtà eravamo disperati, le visite, le analisi, l’amniocentesi, le ecografie  non ci davano speranza, la bimba era gravemente cardiopatica. Il ginecologo decise di intervenire all’inizio dell’ottavo mese di gravidanza.
Ricordo ancora quel giorno, ci preparammo e di mattina andammo in
ospedale per il cesareo.
Giulia nacque piccolissima, appena  in kilo e trecento grammi, venne intubata e posta in incubatrice.
Non fu un periodo facile, la bimba sembrava vitale, era come se fosse aggrappata alla vita, tenacemente. Il nostro stato d’animo oscillava tra
la disperazione e la speranza.
Dopo appena un mese venne sottoposta da un primo intervento cardiaco, in modo da permetterle di raggiungere un peso  ottimale per un eventuale trapianto cardiaco.
Passarono circa sei mesi quando finalmente ce la portammo a casa.
Ricordo ancora quel giorno, la gioia di poterla finalmente avere accanto ma anche la paura che le potesse accadere qualcosa di grave.
Giulia cresceva lentamente,  bisognava evitare di farla piangere, inoltre anche il più piccolo raffreddore poteva essere mortale.  Non fu facile, quelli furono giorni in bianco e nero, dalla speranza alla paura, una altalena di emozioni che minavano sempre più la nostra fiducia nel futuro.
Giulia aveva  dodici mesi, era gracile, il volto pallido, inoltre le mancavano le forze per giocare, gattonare. camminare, a volte anche piangere o ridere.
Poi finalmente la telefonata, un cuore era  a disposizione ed era  compatibile con la nostra bimba.
Che momenti, che paura, che dolore per la mamma che aveva perso, per un rigurgito, il proprio bimbo di appena sedici mesi, e che, pure nella disperazione, ci aveva teso la mano.
Mi immagino sempre  questo  gesto di passaggio dal bimbo morto alla mia Giulia, era come se quest’ultimo avesse dato il testimone a mia figlia, la cui  vita si stava spegnendo ed era stata riaccesa da questo inatteso regalo.
Non smetterò mai di ringraziare quella madre che mi ha ridato la gioia, la vita, mai come in quei momenti angoscianti, in cui il cuore di mia figlia veniva sostituito, ho smesso di pensare alla generosità di quella donna che nel suo immenso dolore  ha saputo donare.
Non so,  al suo posto, cosa avrei fatto!
L’operazione andò bene e dopo un lungo periodo di convalescenza Giulia iniziò a “vivere”veramente e pienamente.
Nulla la  stancava era come se solo ora avesse  finalmente aperto gli
occhi alla vita. Curiosa, insaziabile di vedere e conoscere, di correre, di muoversi, di ridere o piangere, di arrabbiarsi o essere felice.
 Tutto quello che per i bambini era normale, per Giulia era un’ assoluta novità.
Sono ormai trascorsi sei anni da quel giorno, di quella meravigliosa e altruista madre non ho saputo più nulla, spero solo che la sua culla abbia avuto altri bimbi, che le sue braccia non siano rimaste vuote, che altri baci e carezze l’abbiano rasserenata, che un’altra bocca abbia pronunciato quei meravigliosi  balbettii “ma….mma”.
Io, per merito suo, ho avuto tutto questo.
Spesso, appoggio la mia mano sul  cuoricino,  che Giulia custodisce nel suo petto…. sussurro piano piano. "Grazie!”





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