martedì 13 gennaio 2015

L’ATTESA



Ogni giorno, stessa ora, pioggia, sole, vento, caldo afoso, Don Peppe era lì seduto, al tavolino del bar di Antonio Scafato, a bere il caffè.
Che faceva? Nulla, osservava, aspettava.
A guardarlo attentamente nessuno riusciva a dargli un’età definita. Il volto non aveva rughe, due baffetti sottili sotto il naso adunco, gli occhi scuri, quasi una fessura, erano incorniciati da lunghe ciglia nere. Stava  fermo, immobile, solo gli occhi erano vividi. Beveva il caffè, lo sorseggiava lentamente, quasi voluttuosamente poi, con un semplice cenno della mano magra, chiamava il cameriere, pagava il conto e continuava a star seduto, apparentemente senza far nulla, fino all’imbrunire. Alle ventuno in punto si alzava, si sistemava la coppola in testa e andava via. Era sempre molto elegante, anche se gli abiti erano vetusti per foggia, eppure gli davano un’aurea di eternità. In inverno sedeva all’interno del bar, proprio vicino alla grande finestra, sul tavolino la tazzina col caffè, un quotidiano spiegazzato dinanzi, lo sguardo sempre rivolto alla piazza antistante, al minimo movimento esterno, fossero auto, bici o pedoni, lo sguardo ne era subito catturato.
Il bar di Antonio Scafato, sorgeva proprio nella piazza principale di Milazzo. Il sole estivo era attutito da un gazebo blu e bianco. I tavolini all’esterno erano solo cinque, puntualmente occupati; non solo da adulti che amavano oziare ma anche dai ragazzi, specialmente sul far della sera. I più giovani si riunivano, chattavano ai telefonini, si scambiavano battute su ragazze e sport, gustavano una bella granita al caffè o al limone, erano le più buone, tutto questo fino a notte fonda, quando Don Antonio, perentoriamente, li mandava via. Frequentava regolarmente il bar, un gruppetto di anziani: Don Giuseppe il calzolaio, Francesco il barbiere, Nino il netturbino e Franco, nullafacente da una vita. Dal momento della pensione, quello era il luogo di riunione. Giocavano a carte, scopa e briscola le specialità. Avevano invitato Don Peppe ad unirsi alle partite, lui rifiutava sempre.
Certo in molti si erano chiesti perché stesse lì seduto, le congetture si sprecavano ….
“E’ un capomafia! -avevano sentenziato-meglio lasciarlo stare!” “E’ rimbambito, chissà che pensa! …No, no, è un nobile in esilio volontario!”
Don Peppe sapeva benissimo di essere oggetto di discussioni ma, non gliene importava nulla, il proprio posto era su quella sedia, in quel bar, tutti i santi giorni, era questione di vitale importanza.
Ogni sera tornava a casa, stancamente. I piedi li trascinava sul selciato, l’ attesa e la delusione gli maceravano il corpo e l’anima. Una volta giunto alla propria dimora, una bella palazzina proprio in fondo alla via Garibaldi, entrava e si segnava con la Croce, con occhi umidi volgeva una preghiera al Padreterno perché l’indomani portasse ciò che sperava da cinquant’anni.
Don Peppe era stato un giovane bellissimo, nato nel 1921 a Milazzo, aveva partecipato alla II Guerra Mondiale. Aveva visto la sua amata Patria devastata dai bombardamenti, aveva salutato lo sbarco americano in Sicilia come un evento divino che avrebbe portato pace.
Proprio durante la guerra si era innamorato follemente.
Lei era bella, ma così bella, almeno ai propri occhi, da pensare che fosse una Madonna.
Alta, magra, i capelli neri e ricci le incorniciavano il volto michelangiolesco. Si erano incontrati a Trento, lei era una partigiana e portava notizie ai patrioti nascosti tra le montagne. Pedalava da mattina a sera, i forti polpacci ne erano la testimonianza. Non aveva paura di nulla. Con la scusa di andare dalla nonna che abitava in una zona remota, oltre la periferia di Trento, metteva nel cestino qualche tozzo di pane, un po’ di legna, qualche patata e nel doppio fondo di vimini nascondeva i biglietti da portare ai partigiani. Non l’avevano mai scoperta, anche se, una volta, un soldato tedesco le aveva gettato a terra quel misero cibo, intimandole di tornare a casa se non voleva guai. Era intervenuto proprio Peppe ad aiutarla e consolandola l’aveva scortata al sicuro tra le mura domestiche. Lui combatteva accanto ai tedeschi, in quel periodo nostri alleati. L’incontro con Lara era stato un colpo di fulmine. Si erano innamorati e promesso eterno amore. Le vicende della vita li avevano allontanati ma una promessa era una promessa, si sarebbero rincontrati e avrebbero coronato il loro amore. Il luogo sarebbe stato la Sicilia, a Milazzo, e lui, costi quel che costi, aveva continuato a sperare.
Era finita la guerra, l’Italia era libera e solo sporadiche lettere li tenevano ancora uniti. Lara era andata in America, Peppe a Torino, ambedue per lavoro ma la promessa di rivedersi non era mai stata cancellata.
Tornato in Sicilia, erano gli anni ’60, aveva aperto un’attività come meccanico, mestiere imparato durante la guerra. Le lettere si erano diradate fino a scomparire del tutto. Gli amici comuni non avevano notizie di Lara. Rassegnato alla perdita, si era sposato, di Lara più nulla. Era diventato padre di due maschi, Antonio e Francesco. Era rimasto vedovo molto presto. Il suo era stato un matrimonio tranquillo, Ada era una brava donna ma, la passione per Lara, non si era mai sopita. A volte, lo sapeva, era sbagliato, mentre aveva tra le braccia Ada, il pensiero correva alla donna che lo aveva stregato ancora ragazzo, inesperto amante, che aveva scoperto le gioie dell’amplesso proprio grazie a lei.
Ormai anziano, seduto al bar, con il caffè che scorreva caldo nella bocca, pensava a Lara. Al profumo che emanava quel corpo acerbo, alle labbra carnose, passionali, proprio ardenti come il caffè che beveva, nonostante il medico gli avesse consigliato quello d’ orzo a causa dell’età.
Lui non ne voleva sapere, era quella calda bevanda, seduto al tavolino di un bar, a fargliela sentire accanto.
Il tempo scorreva come le pagine di un libro sfogliate troppo in fretta dal vento di scirocco, che spesso imperversava nella zona.
Don Peppe la mattina sbrigava le faccende in casa, quelle più leggere, alle altre ci pensava Lucia la vicina di casa che gli teneva anche compagnia.
La donna aveva un figlio, Carlo di diciotto anni, un bravo ragazzo, ma come tutti i suoi coetanei,troppo preso da gioco, sport e ragazze, alla scuola poca importanza. In un giorno di pioggia intensa, Carlo aveva accompagnato la madre da Don Peppe e, conoscendone le strane abitudini, non seppe resistere alla tentazione di chiedere…
“Don Peppe, so che non dovrei, mia madre “m’ha fatto una testa tanta”, ma io non ci riesco a stare muto. Perché il pomeriggio si siede al bar e aspetta? Perché è chiaro che aspetta qualcuno. Non parla con nessuno, non vuole giocare a carte con gli altri. Se uno si avvicina sembra infastidito. Allora?”
“Un poco invadente? Forse di più... Però sei un bravo giovane e magari è arrivato il tempo per parlare. A te lo voglio dire. E’ un segreto, avvicinati - e sussurrando come se stesse svelando un importante e inconfessato evento nazionale- aspetto Lara. Lei verrà. Me l’ha promesso!” Rispose Don Peppe con voce roca.
Iniziò così a raccontargli dell’amore provato durante la guerra, rivisse nel racconto la propria passione, la paura, il desiderio e l’attesa. Terminò con gli occhi lucidi “Ti raccomando è un fatto personale, giurami che non lo dirai a nessuno!”
“Senta Don Peppe, la posso aiutare. Non deve più essere un segreto! Mi dica il nome e il cognome, la data di nascita, insomma tutte le notizie che ha, con Face book gliela trovo. Aspetti un momento, torno subito!” E senza aspettare risposta corse a casa, prese il computer portatile e, tornato accanto a Don Peppe, spiegò come “le diavolerie moderne” aiutavano nella ricerca di persone lontane e potendo così avere le informazioni necessarie.
Da quel giorno iniziò un connubio incredibile tra Don Peppe e il giovane Carlo. L’appuntamento era al bar, tra un caffè e una squisita granita, il tempo scorreva.
La gente passando li guardava e si chiedeva “Cos’ hanno in comune un ragazzino come Carlo e Don Peppe? E poi di cosa parlano così fitto fitto?”
Il ragazzo cercava ogni piccola notizia riguardante la famosa Lara, spronava Don Peppe perché tornassero alla memoria particolari su particolari: vie, cognomi, amicizie, città e parenti. Era uno scambio incredibile:  da un lato la memoria storica, dall’altro  internet e tutte le migliaia di interconnessioni possibili. Trascorse l’estate e arrivò l’autunno con preannunci invernali impensabili per la soleggiata Sicilia. Don Peppe ora sedeva all’interno del bar, solito tavolino e , nella mano un po’ malferma, la tazzina di caffè.
Carlo non demordeva, ormai per lui Don Peppe era il nonno che non aveva mai conosciuto e voleva ritrovare, o almeno conoscere che fine avesse fatto di quell’amore perduto. Era diventata una questione di principio. All’insaputa dell’anziano, aveva coinvolto anche i propri amici: Luigi, Giuliano, Nicola, addirittura quest’ultimo, compagno di scuola, aveva lanciato un appello su twitter, per ritrovare la donna.
Non solo, la  ricerca si era fatta nazionale: google plus, Face book, alcuni giornali online, tutti avevano adottato l’appello fatto da Carlo “Aiutiamo il signor Peppe a ritrovare l’amore di gioventù. La donna si chiama  Lara….conosciuta durante la II guerra mondiale…ecc e seguivano le indicazioni più importanti.”
Ogni giorno, alle diciassette in punto, Carlo varcava la soglia del bar di Antonio Scafato, il portatile sotto il braccio e Don Peppe ad aspettare.
L’incontro aveva ormai assunto un carattere familiare, Carlo lo baciava sulle guance, chiedeva notizie sulla sua salute, Don Peppe s’informava della scuola, delle amicizie, dei compiti e, per ultima, la domanda sospesa. A volte non era necessario neppure chiedere, erano gli occhi che parlavano.
“Don Peppe, vedrà, ci vuole pazienza e tenacia, ma io la ritroverò!”
Il tempo passava,  ma di novità ve ne erano davvero poche. Tanti falsi avvistamenti che Carlo neppure raccontava a Don Peppe. In realtà lo teneva all’oscuro su molte notizie, non voleva illuderlo inutilmente. Gli anni trascorsi erano davvero tanti, inoltre si era accorto che Don Peppe non era più arzillo come prima, sembrava, e magari lo era davvero, più stanco, affaticato. Provava molta pena nel vederlo seduto, in attesa, al solito tavolino, gli occhi attenti a scrutare l’orizzonte.
…E il tempo passava, l’inverno era arrivato, gli alberi avvizziti dal freddo artigliavano il cielo avaro di sole. Don Peppe sembrava essersi rimpicciolito nel caldo cappotto, a fargli compagnia i sentimenti altalenanti tra emozioni e speranze, il bar e il caffè. Ultimamente poi, faceva fatica ad attraversare la piazza e sedersi al posto usuale, era come se le illusioni si affievolissero insieme alle forze, neppure la signora Lucia riusciva a trattenerlo in casa.
Alle sue proteste rispondeva “Non posso, devo esserci, fino all’ultimo respiro, altrimenti la mia vita sarebbe stata inutile, il mio desiderio vano, l’attesa un fallimento!”
Era la vigilia di Natale, faceva freddo a Milazzo, non era caduta la neve solo perché troppo vicina al mare. Don Peppe era come sempre al bar, tutto infagottato, non riusciva a stare in casa, se lei poi fosse venuta come lo avrebbe potuto ritrovare?
Carlo, quel giorno, tardava ad arrivare.
 L’uomo era nervoso, il ragazzo non mancava mai all’appuntamento giornaliero. Se gli fosse accaduto qualcosa, ne sarebbe morto. Negli ultimi tempi lo aveva avuto vicino più dei veri figli, troppo presi da impegni personali. Non aveva neppure il numero del cellulare di Carlo. “Che stupido essere amici, rifletteva, se non riusciva a rintracciarlo … e poi, si poteva definire così un rapporto di ricerca tra un vecchio e un ragazzo? Forse sì, erano amici perché lui gli aveva aperto il proprio cuore e ne aveva condiviso le speranze e le attese, ma non aveva nemmeno un numero telefonico! Al prossimo incontro glielo avrebbe chiesto, anzi di più, si sarebbe fatto accompagnare proprio da Carlo per comprare un cellulare, insomma doveva modernizzarsi.”.
 Così perso nelle proprie elucubrazioni, le ombre della sera si allungavano sempre più sulla piazza, avvolgendo tutto di una coltre scura, le imposte delle case erano ormai chiuse, come palpebre abbassate su occhi stanchi che si arrendevano al sonno. Don Peppe si guardava attorno, gli avventori al bar erano davvero pochi,  pensò che avrebbe atteso ancora un’oretta, poi sarebbe tornato a casa. Il cuore gli pesava, era come un macigno, aveva tanto sperato, le “diavolerie moderne” non avevano fatto il miracolo. Un improvviso pensiero, come una stilettata gli pervase l’essere “Forse lei era morta … “ Un singhiozzo, suo malgrado, si palesò. Si guardò attorno, non era solito mostrare cedimenti.
 Se realmente fosse stato così allora era meglio non sapere, meglio continuare a sperare, la morte lo avrebbe colto senza il dolore struggente della perdita ma solo con la dolcezza dei ricordi.
Nel frattempo, nel locale, la tv accesa blaterava di neve e ricorrenze, le pubblicità natalizie erano inframmezzate dalle canzoni augurali. Quando …
“Don Peppe che fa, s’addormenta a quest’ora?”
La cara voce di Carlo lo allontanò dai pensieri. E’ vero si era appisolato, gli ci volle un po’ per mettere a fuoco il volto del ragazzo ma … non era solo. Accanto vi era una signora un po’ curva, i capelli argentei, un sorriso commosso che le aleggiava sul volto.
“Lara? Sei n proprio tu, Lara!”
Era come un grido che nasceva dal profondo del petto, causato dagli anni vissuti nell’attesa, dai sogni ricorrenti in cui la amava profondamente con tutto se stesso, dal desiderio struggente di riabbracciarla, anche e solo per un ultimo saluto. Era lei ne era certo, il tempo aveva inciso le proprie unghiate sulla sua pelle, lasciandone le impronte, i capelli che lui ricordava folti e arruffati dai riccioli, erano più radi, solcati da ciocche candide, ma gli occhi erano i suoi, il sorriso era quello di tanti anni fa, quando l’amore era appena sbocciato.
Lei sussurrò “Peppe, mio caro, amato Peppe, quanto tempo!”
Si ritrovarono abbracciati, i volti vicini, le lacrime che si confondevano con i sorrisi. Non avevano bisogno di parole, ci sarebbe stato tempo. Si guardavano intensamente negli occhi, in quegli sguardi il presente era lontano, il passato magicamente presente. Erano nuovamente due ragazzi che si riscoprivano innamorati a discapito del tempo, della lontananza, degli avvenimenti. Il cuore non ha età, i sentimenti, quando sono veri, restano immutati.
Nel bar i pochi avventori guardavano la scena ammutoliti.
Carlo tirava su col naso, si vergognava a farsi prendere dall’emozione ma, quell’amore ritrovato, era davvero sublime.
Si sedette in un angolo appartato del locale, aprì il portatile e sulla propria pagina Face book digitò “Grazie a voi amici, Peppe e Lara si sono ritrovati. L’amore vero non ha scadenza, non ha tempo, non ha spazio, è eterno. Un ringraziamento speciale va a Gianpiero che mi ha fornito, da Milano, le coordinate giuste!”.
Chiuse il computer e rivolto al barista “Don Antonio me lo fa un caffè?”
“Carlo offre la casa, è un vero piacere, anche se ancora non ho capito bene la situazione. Poi me la spiegherai, di una cosa però sono più che certo: Viva l’amore!”.
Furtivamente si asciugò la lacrima che gli rigava il volto, tirò su col naso, proprio lui uomo rude e forte che nel bar aveva visto, e inconsapevolmente vissuto, le vicende degli avventori. Voltando le spalle alla coppia, preparò non uno ma due ottimi caffè, sentiva il bisogno di una sferzata di vita.
Di sottecchi li guardò, erano sicuramente avanti negli anni, ma incredibilmente giovani nei sentimenti, ne provò invidia. Bevve il forte e caldo caffè pensando alla propria donna. Una volta tornato a casa l’avrebbe abbracciata, non lo faceva da qualche tempo, le avrebbe sussurrato parole rinchiuse e inaridite nei cassetti della memoria, l’avrebbe amata come se fosse stato l’ultimo giorno di vita sulla terra.
Don Peppe gli aveva dimostrato che i sentimenti non sono scontati, vanno coltivati, cercati, protetti.
Davvero, dopo tanto tempo, non vedeva l’ora di chiudere il bar e tornare a casa!


FINE




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