lunedì 14 settembre 2015

Quel giorno, quel bacio





Cammino per le strade affollate, non mi guardo intorno, non vedo nulla, penso, rifletto.
Stamattina su face book ritrovo quella foto, la mia foto, la nostra foto.
Chi l’ha postata? Chi si nasconde dietro lo pseudonimo: Giackiè?
Come ogni giorno, mi sono alzata prestissimo e con un caffè in mano, il portatile sulle gambe, ho iniziato a “navigare” su internet.
Prima le ultime notizie dal mondo: Ucraina, Tunisia, politica, sì il solito bailamme, quindi posta elettronica e per ultima la mia bacheca fb.
Noto, tra i vari post, la foto.
Il cuore inizia a battere a mille, le mani sudano e gli occhi mi si riempiono di lacrime.
I ricordi mi prendono alla gola, sono come onde di marea montante, mi sento travolgere.
Chiudo il portatile poi, lo riapro, salvo la foto e la stampo.
Adesso per la strada ho quel pezzetto di carta in fondo alla tasca, lo stropiccio tra le dita, lo appiano, è come se potesse darmi la chiave per sapere.
La giornata in ufficio non passa mai, incombenze, seccature e arrabbiature si susseguono. All’ora di pranzo, alla mensa, mi metto in disparte, riprendo il foglietto e mangiucchio distratta un toast.
Osservo attentamente quella piccola foto in bianco e nero, noi due che ci baciamo incuranti di tutto, anche della scala mobile che ci riporta al piano terra.  Ricordo come fosse ieri, quel bacio nato all’improvviso e Giulio che mi sussurra “Non ti lascerò più. Sei il mio universo. Dopo la laurea ti sposerò, mio amore!”
Davvero toccai il cielo con il dito. Ci eravamo conosciuti a Torino, io dal profondo sud mi ero trasferita al nord per studiare. La prima della mia famiglia a lasciare la casa paterna, iscrivermi all’università, facoltà ingegneria. I nonni preoccupati e allo stesso tempo orgogliosi della nipote istruita. Ero sicuramente la più studiosa della famiglia. Sempre ottimi voti e dopo la maturità conseguita, con il massimo della valutazione, insieme alla mia amica del cuore Giusy, era iniziata l’avventura accademica a Torino.
Avevo trovato lavoro presso il bar accanto all’Università. Ci andavo solo la sera, dalle diciannove alle ventiquattro e, proprio tra i fumi del locale, una volta si poteva tranquillamente fumare all’interno, caffè e stuzzichini, avevo incontrato Giulio, il mio primo amore.
In realtà mi era venuto in soccorso, un avventore del locale, un po’ alticcio, mi aveva importunato e lui mi aveva difeso.
Era iniziata così, Giulio che veniva regolarmente al locale, prima per un caffè, poi a poco a poco, tra una chiacchiera e l’altra, mi aspettava fino alla fine del mio turno e mi riaccompagnava a casa. Era un amore pulito, non solo perché nasceva da sentimenti veri ma anche per il modo con cui si affermava. Senza fretta, con calma, quasi pacatezza, dopo due mesi mi aveva conquistato.
Il suono del cellulare mi riporta alla realtà. Guardo il numero, non lo conosco ma rispondo “Pronto chi parla?”
Nulla, solo l’incessante suono della comunicazione interrotta. Mi sento gelare il sangue. Chi mi può odiare così da riaprire vecchie ferite che neppure il tempo è riuscito a rimarginare?
Torno al lavoro, il pomeriggio passa lentamente, è anche colpa dei pensieri assillanti che non mi danno tregua. Alle diciotto termino, stancamente mi avvio verso casa. Per la prima volta ho paura, mi guardo continuamente alle spalle mentre percorro le vie conosciute.
Il foglietto con la foto è ancora in tasca, dove l’ho relegata. Ho quasi timore di toccarla, come se potesse ridare vita ai fantasmi.
Cammino rasentando i muri, giunta al mio portone lo apro nervosamente e mi richiudo la porta alle spalle. Mi appoggio all’uscio, serrandolo mi illudo di lasciar fuori i fantasmi del passato.
Vivo sola, l’esperienza mi ha inaridito il cuore.
Tolgo velocemente il cappotto, lo getto sul divano, apro il mio portatile e accedo alla mia pagina fb.La foto è nella bacheca e un solo “mi piace” campeggia proprio sopra la didascalia “Ricordi?”
E come potrei non ricordare, in tutti gli anni trascorsi ho ancora dinanzi agli occhi la scena che cambiò la mia vita, per sempre.
Era luglio,  esattamente il 16 luglio del 1981, un giorno assolato. Non ero tornata a casa dai miei , dovevo ancora sostenere un esame prima della chiusura estiva. Giulio mi aveva fissato appuntamento  proprio al centro commerciale. Mi aveva abbracciato, poi mi aveva regalato un costume, un castigato due pezzi,. Lo avevo scelto io, azzurro come il mare. Come i suoi occhi ridenti. Avevamo gironzolato un po’,   proprio sulla scala mobile ,in quel periodo breve, eppure intenso, con un bacio mi aveva giurato eterno amore.
Un fotografo, ai piedi della scala, scattava foto e poi le vendeva. Eravamo accanto a lui, proprio nel momento in cui Giulio stava per pagare quell’ inaspettato scatto fotografico, quando all’improvviso, quell’uomo dietro di noi, si era avventato  contro,facendoci cadere. Aveva iniziato a tempestare di pugni Giulio, fino a mandarlo a terra esamine.
Io urlavo chiedendo aiuto, era accorso un vigilante e col fotografo, avevano afferrato alle braccia quel bruto dalle nocche insanguinate. Poi, non so più nulla. Mi ritrovai in ospedale, i miei genitori accanto, Giulio morto.
Tornai a casa, abbandonai Torino, gli studi, tutto. Dopo mesi e mesi di apatia, ritornai lentamente alla vita.
Quella foto mi riportava indietro, prepotentemente, dolorosamente. Mi ero sempre sentita colpevole per la morte del mio uomo, per questo non avevo voluto nessun altro accanto, convinta che portassi la  morte a chi mi avrebbe amato. ….
Mi scrollo dai pensieri. Facendomi forza  digito sotto il messaggio “Incontriamoci”
La risposta arriva immediata, come se lo sconosciuto fosse appostato alle mie spalle. “Domani a pranzo al centro commerciale, vicino alla scala mobile” Nient’ altro.
Ci sarò, lo so. Non posso esimermi dal sapere.
Un po’ ho paura, anche se il centro commerciale del mio paese non è quello dove avvenne la tragedia.
La notte è insonne. Giulio mi balza alla memoria, i suoi baci, gli abbracci, le carezze, i suoi mille modi per farmi sentire amata. L’alba mi trova sveglia, gli occhi segnati da profonde occhiaie bluastre.
Mi alzo, è sabato, non devo lavorare. Pigramente  sorseggio il caffè che ho preparato. Non ho voglia di far nulla se non aspettare l’ora dell’appuntamento.
Gironzolo negligentemente per casa, leggo o meglio sfoglio un giornale, guardo distrattamente la TV che ho acceso e poi, finalmente, mi preparo per l’incontro.
Indosso jeans, maglietta e un cardigan leggero. Non mi trucco neppure, non ho voglia, è come se andassi a una veglia funebre.
Il centro commerciale non è lontano, vado a piedi. Entro con un certo timore, c’è molta gente indaffarata, mi avvio alla scala mobile.
Sono le dodici e un braccio afferra il mio gomito: uno sconosciuto mi dice “Ciao”, non lo conosco, lo guardo attentamente poi, uno spiraglio apre la mia mente. E’ invecchiato, non male direi, il suo sguardo è però velato di tristezza.
“Ciao, ripete, sono il fotografo di quel maledetto giorno!.”
Mi sento mancare, gentilmente mi porta al bar e mi costringe a sedere.
“Scusa, ma era l’unico modo per darti la foto che vi scattai tanti anni fa. L’avevate anche pagata. Sapessi quanto ti ho cercata. E’ stata la padrona del bar dove lavoravi a darmi alcune indicazioni. Ma non bastavano. Tre giorni fa, navigando su face book ho visto la tua immagine.”
E’ lui che continua a parlare, io sono attanagliata dal dolore dei ricordi.
“Quante volte mi sono detto che  se non vi avessi scattato la foto, magari il tuo ragazzo 

sarebbe ancora vivo! Il dubbio mi ha lacerato. Dovevo rincontrarti per parlarti, guardarti negli

 occhi, essere perdonato!” Termina. Mi osserva intensamente mentre mi mette in mano

 l’originale della foto. Non so cosa dire, la prendo, la bacio, una lacrima scorre e la vela 

come un sudario. Con la mano accarezzo quel volto stanco. Mi alzo e vado via. Non trovo 

parole per assolverlo

 


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